Cosentino salvo: flop di forcaioli e centristi

Cosentino salvo: flop di forcaioli e centristi

RomaIl «cicalino» della votazione che inizia a suonare. I deputati che sciamano veloci dentro l’aula. L’annuncio di Gianfranco Fini della procedura a scrutinio segreto. Il risultato che suggella la bocciatura della richiesta di arresto di Nicola Cosentino, respinta con 309 voti contrari e 298 favorevoli. Il boato dei parlamentari del Pdl. L’abbraccio di Alfonso Papa al parlamentare campano, a cui i numeri d’aula hanno riservato un destino diverso dal suo.
Sono queste le istantanee di un’altra giornata vissuta sul filo della tensione, una roulette russa con il parlamentare «richiesto» dalla procura napoletana lì in aula ad attendere il verdetto, e centinaia di deputati schierati ad esprimere un voto a scatola chiusa, in base all’appartenenza politica senza aver letto nulla o quasi delle millecinquecento pagine arrivate alla Camera. Questa volta, però, nell’ingranaggio delle «indicazioni di voto» entra una discreta quantità di sabbia. Le previsioni iniziali vengono scompaginate. E alla fine, in Transatlantico, sono parecchi i volti scuri dei leader che dopo aver caricato il voto di motivazioni politiche, incassano il colpo, scorrono i tabulati e cercano di comprendere da dove siano arrivati quei voti che hanno negato la misura cautelare in carcere.
L’elenco degli sconfitti comprende almeno tre nomi: Roberto Maroni, Pier Ferdinando Casini e Pier Luigi Bersani. L’ex ministro dell’Interno è quello che si è intestato dentro la Lega la battaglia per il ritorno alle origini, ovvero alle vecchie radici giustizialiste dei tempi di Tangentopoli. Una posizione che si è infranta sulla fermezza di Umberto Bossi e sul coraggio del relatore del Carroccio Luca Paolini che dopo aver letto le carte non si è schiodato dalla convinzione che le accuse fossero assolutamente inconsistenti. Lo stesso Paolini, a giochi fatti, si è detto convinto che tra i 20 e i 30 deputati del Carroccio abbiano votato contro il carcere sui 56 presenti in aula. Maroni si difende sostenendo che «molti voti a favore di Cosentino sono arrivati dall’Udc e dal Pd». Tesi non peregrina a dare retta ai tabulati che lasciano spazio a ogni ipotesi. Casini gli risponde a stretto giro di posta: «La polemica è di chi vuole inquinare le acque e noi non vogliamo inquinare nessuna acqua».
Quanto accaduto oggi è «talmente evidente che non ha senso. I calcoli hanno una loro validità, i numeri sono chiari: per il Pd 198 deputati, per l’Udc 36; 22 per il Fli, 21 per l’Idv e 7 per l’Api. La somma fa 284. Ci sono stati 298 sì all’arresto, significa che 14 deputati si sono uniti al voto favorevole all’arresto». Tutti leghisti? Chi può dirlo. Anche perché restano incerti alcuni voti del variegatissimo gruppo Misto, come quelli dei 4 di Mpa e i 3 delle minoranze. Così come non va sottovalutato il fatto che tra i 18 deputati assenti al momento del voto ci fossero 8 deputati del Pdl (tra cui Giulio Tremonti, Antonio Martino, Jole Santelli e Lucio Stanca); due leghisti (uno era Bossi); oltre a due del Pd, due di Pt e uno dell’Udc. Di certo, in questa giungla di numeri, illazioni e sospetti, c’è un calcolo semplice e doloroso per il Partito democratico: quello sui 6 radicali schierati per il no all’arresto. Se i deputati di Pannella avessero detto sì, sarebbe passata la richiesta di arresto, 304 a 303, e il risultato sarebbe stato capovolto.
Sull’altro podio, quello dei vincitori, sale sicuramente il Pdl, con Silvio Berlusconi impegnato in prima persona e Denis Verdini in prima linea, come in occasione dei tanti voti di fiducia consumati sul filo di lana. Così come, ovviamente, festeggia Cosentino che nel pomeriggio tiene fede alla parola data e annuncia le «irrevocabili dimissioni» da coordinatore campano del Pdl. Nella stessa lista non può non figurare Bossi che dopo aver subito l’offensiva di Maroni, in poche ora fa cambiare posizione al partito, prima con quel «calma con gli arresti», poi con «lasciamo libertà di coscienza».
Ma nell’elenco di coloro che possono sorridere c’è anche Mario Monti. Sì, perché nei giorni scorsi alcuni «avvisi ai naviganti» erano risuonati da parte di diversi esponenti del Pdl.

E il terreno per l’esecutivo rischiava di farsi sdrucciolevole qualora si fosse consumato uno strappo profondo tra Pdl e Lega.
Una ferita che avrebbe rafforzato la tentazione degli azzurri di staccare la spina e tornare in tempi brevi alle urne.

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