Paolo Scotti
da Roma
Non chiamatelo reality. Basterebbe la drammaticità dell'argomento, se non il dolore che evoca, a consigliare Maurizio Costanzo di schivare parentele col più impresentabile dei generi tv. E di ripetere, di ripetere continuamente: «No: questo non è un reality». D'altra parte l'idea di Altrove - primo programma tv che, a metà fra documento e talk show, andrà in onda (a partire da stasera) da un carcere è nata in circostanze troppo serie, per suggerire indebite contaminazioni. «Due anni fa il mio collega Fabio Venditti visitò il carcere di Sulmona, per preparare una mia intervista al detenuto Mario Savio - racconta Costanzo -. Fu in quell'occasione che l'ergastolano ammonì pubblicamente il figlio a non seguire le sue orme. Allora ci venne l'idea. Perché non cercare di raccontare cosa si prova a vivere in galera? Quale futuro si sogna? Quali speranze possono ancora sopravvivere?».
Un graffio sul muro che ricorda l'intreccio delle sbarre, un sottotitolo che è già tutto un programma - Liberi di sperare - e due appuntamenti su Italia Uno (quello quotidiano, dal lunedì al venerdì alle 24,30, in cui le telecamere seguono la vita dei detenuti fin nelle celle del carcere di Velletri, e quello settimanale del venerdì alle 23,40, in cui Costanzo conduce un talk show dal teatro dello stesso istituto penitenziale) è la proposta del nuovo, delicato programma. «Quando s'era sparsa la falsa voce che Altrove sarebbe stato un reality, dal Parlamento è giunta la richiesta di spiegazioni - ammette Costanzo, alla presenza del ministro della Giustizia, Mastella -. Io ho spiegato che noi vogliamo solo approfondire la conoscenza di un mondo sommerso. Quello di chi vive privato della libertà. E di quelli che io chiamo i detenuti senza condanna: cioè gli agenti della Polizia penitenziaria, che in qualche modo condividono la stessa pensa. Tutto questo senza emettere giudizi, senza ricorrere al folclorismo, al sensazionalismo o al perdonismo. Io penso infatti che la pena debba essere scontata interamente. Ma in modo civile. Nel rispetto della dignità dei detenuti». Questa parola - dignità - torna spesso in bocca a Costanzo, e da sola dovrebbe garantire, nonostante la tecnica imparentata col reality, la serietà dei propositi di Altrove.
«Le telecamere ci sono, ma fisse, senza operatori, e montate in tre celle i cui gli occupanti possono, se vogliono, disattivarle. I detenuti che non si sono dichiarati disponibili non verranno in alcun modo ripresi, e comunque dal programma sono automaticamente esclusi quelli colpevoli di reati gravissimi, perché non alloggiano nella sezione del carcere che ci ha aperto le porte. Nessun intervento esterno di sceneggiatura, infine, addomesticherà le riprese. Ed è ovvio che al montaggio escluderemo eventuale turpiloquio o bestemmie». Quel che si vuole ottenere «è un'immagine fedele della realtà carceraria. che è fatta anche di silenzi, di occhi fissi al muro».
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