Gaia Cesare
È intervenuto personalmente, per tentare di sbloccare limpasse che sta frenando il decollo della Costituzione irachena. Lo ha fatto rivolgendosi al più potente leader sciita, Abdul-Aziz al Hakim, capo del partito che rappresenta la principale componente religiosa in Irak, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica (Sciri).
George W. Bush vuole che la partita in corso sulla Carta irachena venga chiusa prima possibile e non incontri ulteriori intoppi. Per questo il Presidente americano ha sollecitato con una telefonata il leader sciita Al Hakim, chiedendogli unapertura alle obiezioni avanzate dai sunniti, la cui rappresentanza nellAssemblea irachena, dopo il boicottaggio delle elezioni del 30 gennaio scorso, resta esigua. Le anticipazioni sulla chiamata Washington-Bagdad sono state pubblicate dal New York Times. Ieri è arrivata la conferma ufficiale da parte della Casa Bianca.
Il timore più forte, quello che ha spinto il Presidente americano a esporsi personalmente, è che senza unintesa dei tre principali gruppi etnici iracheni, la Costituzione possa essere affossata nel referendum del 15 ottobre. Le regole della consultazione popolare prevedono infatti che la Carta sia respinta se i due terzi degli elettori esprimeranno un voto contrario in almeno tre delle 18 province irachene.
E la strada verso laccordo sembra ancora piuttosto incerta. Chiuso il braccio di ferro sullislam - che sarà certamente «fonte principale» della nuova Costituzione - resta aperto il nodo del federalismo. Lintesa raggiunta tra curdi e sciiti, legata agli interessi petroliferi di entrambi, lascia a bocca asciutta i sunniti. Ieri in migliaia hanno manifestato per le strade di Baquba, al grido di «Respingiamo la Costituzione americano-iraniana» (lo slogan ha un chiaro riferimento contro gli sciiti, ospitati in passato da Teheran e ora sospettati di essere foraggiati dal regime iraniano). «No a una costituzione che spacca lIrak» urlavano ieri nella città del triangolo sunnita.
Ma cè un altro scoglio ancora più difficile da sormontare: è la richiesta dei sunniti di un ritorno del Baath, il partito simbolo della dittatura di Saddam e della loro minoranza religiosa, ora sottoposto a un processo di scomparsa. Anche su questo punto gli sciiti sembrano non voler cedere: Jawad Al-Maliki, numero due del partito del premier Ibrahim al-Jaafari, il Dawa, la reputa una pretesa «inaccettabile»: «La nostra versione di Costituzione prevede che siano rimossi tutti gli ostacoli alla realizzazione di una federazione e che siano posti invece tutti gli ostacoli per impedire la rinascita del partito Baath, continuando al contempo a perseguire i suoi dirigenti», ha detto senza mezzi termini il portavoce del cartello politico sciita. Queste le condizioni avanzate ieri dagli sciiti alla controparte sunnita come un ultimo tentativo di compromesso sulla Carta: «Abbiamo sottoposto una versione finale e questo è tutto quello che possiamo fare», ha concluso Al-Maliki.
Un filo di speranza sembra tuttavia giungere dalla riunione in corso nelle ultime ore nella residenza del presidente della regione autonoma curda Nassud Barzani. Durante lincontro gli sciiti si sarebbero mostrati disponibili a qualche concessione: rinuncerebbero a definire il Baath un partito «saddamista» e «terrorista» e rinuncerebbero allarticolo sulla debaathificazione, in cambio di «maggiore flessibilità da parte dei sunniti su altri articoli del testo». Il portavoce del vice primo ministro Ahmad Chalabi ha parlato in tv, a tarda sera, di un accordo di massima. Ma prima di domenica non si arriverà ad una decisione finale.
Il dibattito politico che si protrae ormai da settimane, con continui rinvii, rischia di provocare unescalation di violenza nel Paese. Ma gli Usa non temono ripercussioni sul voto. Il generale americano Joseph J.
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