Non è facile essere ottimisti. Da qualche parte dicono che è Natale. La gente fa shopping, le vetrine sembrano lucciole, le strade sono stracariche, ma una cortina di piombo rende grigio e pesante il cielo di questo Paese. Berlusconi è in ospedale, il volto tumefatto, i denti spezzati e su un muro della Sapienza, qui a Roma, un manifesto rosso dice: «Massimo Tartaglia, a Natale si può fare di più».
Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo dei senatori Pdl, non lo ha visto. È appena tornato a Roma e deve scappare a Palazzo Madama. C’è solo il tempo per una chiacchierata.
Dicono che l’aggressione contro Berlusconi cambia tutto. Questo è un punto di svolta. È l’ultima chiamata per un clima politico meno tragico. Forse è il caso di sedersi intorno a un tavolo e pensare a un nuovo patto costituzionale. Quante possibilità ci sono? Una su cento?
«Pessimista. Ma dobbiamo provarci. Prima bisogna chiamare le cose con il proprio nome».
Chiamiamole.
«Dobbiamo fare i conti con quello che è successo dopo la caduta del Muro qui in Italia. Gli sconfitti dalla storia non ne hanno mai accettato il verdetto. E hanno cercato una scusa, un motivo, per giustificare il fallimento. Riscrivere tutto. Obiettivo: delegittimare l’avversario. Ecco allora che si attribuisce a Forza Italia un’origine criminale, mafiosa. E ogni mezzo è buono. Dopo il 2008 e il fallimento di Veltroni, della legittimazione reciproca, c’è una accelerazione finale. La sentenza della Consulta, al di là delle intenzioni, è il catalizzatore di tutto questo. Si arriva al paradosso totale. Berlusconi non è solo marchiato come mafioso, ma si porta un pentito davanti a un tribunale, senza riscontri, senza ponderare la sua affidabilità, e si dice al mondo che il capo del governo è il mandante delle stragi del ’93. Quello che è successo in piazza Duomo è il risultato di questo processo di diffamazione».
E se fosse solo il gesto di uno psicolabile?
«Troppo facile liquidare Tartaglia dicendo che è un matto. Quando c’è un’aggressione si arma sempre la mano di chi è più instabile, più debole, più influenzabile. Quel gesto risente di questo clima. C’è una cosa che mi ha colpito a Milano, più di Tartaglia, più del gruppo di contestatori organizzati».
Cosa?
«Un gruppo di signore in pelliccia, che passavano di lì dopo aver visitato i negozi del centro, che urla: fuori la mafia dallo Stato. Questo dimostra quanto sia stata penetrante una simile campagna di odio».
E se si tocca la Costituzione che succede? Ormai è un tabernacolo, un totem, il vessillo del Pd e dei suoi alleati. Come pensate di fare le riforme?
«Con il buon senso. La Costituzione non è questo mito sacro che ci hanno fatto credere. È un grande accordo politico che serviva a portare l'Italia fuori da un momento drammatico. Avrebbe dovuto essere un punto di partenza, e invece è stata trasformata in un desiderio. La Costituzione è divenuta così l'eden perduto da riconquistare. Nella realtà dei fatti, invece, fu scritta al buio. Non si sapeva neppure da che parte saremmo finiti: a Ovest o a Est. È per questo che i costituenti preferirono lasciare in bianco, non scrivere, tre pagine di quella Carta».
Tre nodi da sciogliere più in là.
«Sì. E sono quelli che oggi abbiamo il dovere di scrivere».
Quali?
«La forza e l’autonomia dell’esecutivo, il bicameralismo e la forma di Stato. Il terzo punto, il federalismo, è stato praticamente già scritto. Restano gli altri due. E su quelli si può trovare un’intesa. Si può aprire un dialogo, una trattativa. Ma c’è anche un altra questione, importante, delicata, che i costituenti si erano posti e avevano risolto».
Ed ha a che fare con la giustizia?
«È l’equilibrio tra il potere politico e quello giudiziario. E si può raggiungere in molti modi. I costituenti avevano messo nero su bianco nell’articolo 68 la loro scelta: l’immunità parlamentare».
Abolita nel ’93 durante tangentopoli.
«Ecco. Quell’equilibrio si è rotto. Le strade per ritrovarlo sono tante. Si può tornare all’immunità o scegliere altri percorsi, l’importante è che i due poteri siano di nuovo bilanciati. E questo è un punto inderogabile».
Qualcuno pensa, anche nel Pdl, l’unico modo per arrivare alla seconda Repubblica è chiudere la stagione del berlusconismo.
«E questo appunto significa non fare i conti con la storia. Non si può pretendere di cancellare Berlusconi.
Invece?
«L’unico modo per andare avanti, per chiudere questa stagione di odio, è riscrivere le nuove regole con Berlusconi».
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