Un crack finanziario manda in fumo gli affetti

«Il labirinto delle passioni perdute» di Romolo Bugaro mette in scena la dissoluzione di quattro vite normali

È strano e confortante nello stesso tempo leggere un romanzo italiano che sia un romanzo vero, con intreccio e personaggi, e sappia calarsi nella realtà con pudore e profondità, pietà e sguardo indagatore, cogliendo sintomi, segnali, paure e disagi dell’epoca senza trucchi e senza indulgere all’idea di un romanzo sfinito o esaurito. Di solito la strada che si segue è un’altra: quella del romanzo di genere, la stupidaggine (quasi diventata luogo comune) che il crimine possa essere una chiave di lettura per scoprire ciò che ci sta intorno; o il romanzo postmoderno, gioco intellettuale sopra un mondo che si pretende incapace di storie e personaggi.
Anche se non ce ne accorgiamo, gli scrittori spesso ci dicono qualcosa di orribile. Ci dicono: «Cari lettori, nel nostro mondo e nel nostro tempo non c’è nulla da raccontare, ci sono solo marche, ipermercati, pubblicità e discoteche. Non c’è nulla di alto, a meno che il mio sguardo autoriale non nobiliti la realtà o non mi inventi qualche teoria incomprensibile che la riscatti, oppure la realtà stessa diventi il materiale di un incastro di genere. Cari lettori, siete incapaci di essere personaggi, non ve lo meritate, continuate a fare soldi, a lavorare, a viaggiare e comprare ma scordatevi di diventare letteratura». Aldilà della presunzione, c’è una resa senza quartiere della letteratura al mondo.
Fa quindi piacere leggere un romanzo come quello di Romolo Bugaro, Il labirinto delle passioni perdute (Rizzoli, pagg. 358, euro 18). Proprio perché è un romanzo inserito nel nostro tempo, che ha personaggi che sono le persone che conosciamo: immobiliaristi, imprenditori, commercialisti. Questi personaggi vengono raccontati con estrema sincerità, senza aggravare le loro vite di pesi inesistenti o ossessioni che servono solo a muovere la macchina narrativa. La sorpresa è accorgersi che le loro vite, e quindi le nostre vite, non sono vuote, ma sono piene di speranze, delusioni, sconfitte e gioie. Riescono nel miracolo di unire destino e scelta e quindi di essere personaggi letterari. Il libro di Bugaro racconta una deriva, è vero, e racconta forse anche di salvezze casuali, se salvezze ci sono in un tempo che consuma tutto vertiginosamente, ma questa deriva non ha nulla del divagare di tanta letteratura attuale. È legata alla vita per come è, non si sposta da lì.
La storia è semplice e nella semplicità sconvolgente. Viene raccontato un crack finanziario visto però non con gli occhi vaghi di chi se ne sta fuori e moraleggia, ma dalla parte dell’imprenditore che lo subisce, per colpe sue, certo, ma anche per colpa di un sistema che si è messo a girare in modo molto diverso da come girava solo venti anni fa. Da questo crack prendono forma le figure fragili di tre amici, Marco, Enrico e Carlo, e soprattutto di Eliane, la moglie di Enrico, il capitalista vittima del dissesto.

Il romanzo racconta la dissoluzione intima dell’amore tra amanti e amici, dissoluzione che sta insieme a un senso del tempo visto non come ingordigia o rapacità, ma piuttosto mestizia, da foglia sull’albero in autunno, pronta a cadere. Siamo tutti su questa barca nella tempesta, chi ha e chi non ha. E il dolore rende tutti capaci di salvezza e riscatto e prepara il mondo alla luce della letteratura.

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