Craxi scivola in lista ma vuole andare al governo

«Il nono posto? Mi hanno detto che è stato un errore e Romano mi ha rincuorato subito. Ho riportato il mio nome dalla parte giusta»

Craxi scivola in lista ma vuole andare al governo

Roberto Scafuri

da Roma

Non crede al fato avverso, parla con pacatezza di «una serie di disavventure», quasi scherza perché «me ne succedono di tutti i colori». Guai a scorgere in quei colori vaghe tracce di destino. La delusione di Bobo Craxi per l’ennesimo «scherzo del fato», sotto forma di un «errore tecnico sulla presentazione della lista», è durata poco. «Mi hanno assicurato che di un errore si è trattato, hanno raccolto le firme su una lista e ne hanno presentata un’altra, tutto qua».
Puzza di bruciato, ennesima «fregatura»? No, assolutamente no. Bobo è ingenuo e «limpido», tale vuole restare. «Non sbatto i pugni sul tavolo, non sono un problema». Il suo nome comparirà soltanto al nono posto della lista Ulivo per la circoscrizione Lombardia 3 della Camera, l’elezione è appesa a un filo, ma a Craxi jr non importa. «Per fortuna non ho il prurito dell’autoblù», sorride. Gli piace di più pensare che quella circoscrizione lombarda è per gran parte lo storico collegio di papà Bettino, Pavia-Lodi eccetera, e in quelle lande andrà a proporre iniziative «originali, ben fatte... Di sicuro non mi dò per vinto». Bobo è un romantico, nel suo mite modo di porsi in un mondo di lupi e ragionieri pensa di averla fatta anche lui, nel suo piccolo, «un’operazione in qualche modo storica». Aver riportato il nome di Craxi e i socialisti a sinistra, «dalla parte giusta». D’altronde la «questione socialista esiste ancora», il problema riaffiora ogni qualvolta si lamenta l’assenza in Italia di una sinistra europea. La ricomposizione era una necessità scritta nel destino, e non «è colpa mia - si sfoga - se sono stato scippato della vittoria al congresso del Nuovo Psi». Certo, poi si poteva andare nella Rosa nel pugno. «Mi avessero voluto davvero, mi avrebbero chiesto di entrare fin dal principio, non a cose fatte...», spiega.
Di sicuro «c’erano ragioni politiche», aggiunge Bobo. Ancora una volta il peso del cognome che pesa. «Forse consideravano che questo volto di novità perseguito dalla Rosa potesse essere attenuato dall’apporto di un passato come il nostro, dei socialisti di Craxi...». Ed è per questo ennesimo «sgarbo di principio» che Bobo, «senza cappello in mano, ma con limpide motivazioni politiche», si rivolge a Romano Prodi per un «diritto di tribuna». Prodi lo incoraggia e lo sostiene. Dopo l’ultimo capriccio del caso, il nono posto in una circoscrizione dalla quale si attendono otto eletti, è il primo a telefonargli, a rincuorarlo, a rassicurarlo. «Non ci sono problemi, sarai dei nostri», gli promette. L’ingenuo, inguaribile romantico prosegue nella sua battaglia solitaria. «Abbiamo le liste dei Socialisti ovunque e ci daremo da fare: se si vince, se i compagni capiscono e ci danno un buon risultato, entrerò in Parlamento o nel governo...».

Nulla è perduto, nulla è precluso. «Non sbatto pugni sul tavolo, non scalpito, non sono un problema». Buon viso a cattivo gioco: ottavo o nono, poi, che importa? Quella è la politica dei ragionieri, Bobo si è caricato sulle spalle un destino.

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