Il creativo dieci e lode bocciato da Pasolini

N el 1973, quando le nostre città si riempirono di giganteschi manifesti inneggianti alla nuova marca di Jeans Jesus, si parlò giustamente di nascita della pubblicità contemporanea. Non era infatti il prodotto a figurare in primo piano, ma un’immagine forte e solo in parte pertinente, un bellissimo sedere femminile, accompagnato da una scritta altrettanto esplicita e discutibile: «Non avrai altro jeans all’infuori di me». Inventore di questo slogan, ideale per lanciare un marchio destinato al pubblico giovane desideroso di ribellarsi alle convenzioni sociali e al perbenismo borghese, fu Emanuele Pirella, scomparso ieri a settant'anni, che si avvalse della collaborazione di Oliviero Toscani, un fotografo dallo stile fluido e trasgressivo, protagonista con lui di una vera e propria rivoluzione nel campo della comuncazione. Esaltante per molti (era lo stesso periodo del film Jesus Christ Superstar), la campagna suscitò lo sdegno di un intellettuale del calibro di Pasolini, che sul Corriere della Sera del 17 maggio 1973 pubblicò un indignato anatema dal titolo «Il folle slogan dei Jeans Jesus», simbolo per il poeta di espressività aberrante, «di un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato. Di un mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte». Oggi un’opinione del genere farebbe sorridere.
Però a quei tempi non esisteva ancora la figura del copywriter in stile «Milano da bere», le agenzie erano poche e uniformate sul linguaggio di Carosello. Pirella, pubblicitario per caso (avrebbe dovuto stare in agenzia per sei mesi per poi spiccare il salto nel giornalismo e invece...), è stato un innovatore assoluto. Nel ’71 fonda con Michele Göttsche e Gianni Muccini l’agenzia Italia/BBDO, incaricata tra l’altro del lancio del quotidiano la Repubblica. Pirella capisce che lo spot pubblicitario può assumere i tratti del tormentone e trasformarsi in linguaggio diffuso. «È nuovo? No! Lavato con Perlana» è un’invenzione di rara efficacia che unisce diversi tipi umani, da due attempate casalinghe esperte nel lavoro domestico alla giovane coppia dagli sguardi allusivi. Per non parlare del bollino blu «di qualità» applicato alla Chiquita, l’unica banana da 10 e lode, più famosa di quella di Andy Warhol.
Negli anni ’80, age d’or della comunicazione in Italia - nel frattempo la compagnia diventa Pirella Göttsche (quindi Lowe Pirella) - le idee si susseguono a ritmi incalzanti. «O così o Pomì» si propone come una sorta di aut aut kirkegaardiano applicabile in qualsiasi discorso; nasce la mitica figura del veterinario dell’amaro Montenegro, a sottolineare il bisogno di un ritorno alla natura, alle cose semplici, dopo la sbornia metropolitana. Questi spot si trasformano in patrimonio condiviso al di là del prodotto, soprattutto grazie allo stile di programmi tv come Drive In, dove si confondono volutamente gli sketch comici e i jingle pubblicitari. Spesso si serve di testimonial che si prestano al gioco ironico, pur non avendo niente del sex appeal e dell’aggressività ricorrente: un Reinhold Messner, dall’inconfondibile accento altoatesino, che giura sulla freschezza dell’acqua di montagna, «altissima, purissima, levissima»; un Giovanni Rana, capitano d’industria che non ha perduto l’artigianalità casereccia tradizionale. Dissacrante Pirella nel descrivere i segreti della sua professione: «quando un pubblicitario è alla disperazione può ricorrere a un grande testimone, meglio se molto costoso e internazionale. Quindi si mette a cercare nello star system hollywoodiano. Se poi è molto disperato può rivolgersi a bambini o a cani. Se è disperatissimo ricorre alla faccia stessa del fondatore dell’impresa che è lì di fronte a lui e dice: “Lei deve fare il testimone del prodotto”. Adesso, dopo il primo che abbiamo inventato noi e che è quello dei tortellini, ce ne sono parecchi di quest’ultimo tipo, almeno altri otto o nove. Molto spesso è la scorciatoia non creativa più breve per fare uno spot».
Non sono solo i numerosi premi conseguiti a tracciare il profilo culturale di Emanuele Pirella. Altra sua storica invenzione è l’appuntamento settimanale con la satira di «Tutti da Fulvia sabato sera» che mette alla berlina i birignao della classe intellettuale borghese, realizzata insieme alla penna arguta di Tullio Pericoli. La satira, autentica passione, diventa così il suo «secondo mestiere», in particolare nella rubrica de L'Espresso «La tv secondo Pirella» con cui vince il Premio Flaiano nel 2000.

Più incisivo e innovatore di buona parte degli artisti di carriera, Pirella lascia in eredità una scuola di giovani pubblicitari che insieme a lui ha firmato le recenti campagne, come l’ultima che campeggia in questi giorni sui muri italiani, il sole e il mare della Calabria vivamente consigliate da Rino Gattuso.

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