Economia

Cremonini-Jbs, la guerra italo-brasiliana della carne

I due gruppi alimentari controllano pariteticamente la holding Inalca, ma è in corso un durissimo braccio di ferro che porterà a nuovi assetti. Dozzine di cause in Italia e in Francia, contrasti sulla gestione, accuse di concorrenza sleale. E sullo sfondo il valore della società e il prezzo che dovrà pagare chi comprerà

Una dozzina di cause civili e penali in Italia, un arbitrato internazionale a Parigi sono l'amara deriva di un'operazione che tre anni fa fu salutata con enfasi: l'ingresso al 50% dei brasiliani di Jbs, primo gruppo mondiale della carne bovina, nella holding industriale Inalca (il cui business principale è la macellazione) fino a quel momento controllata al 100% dal gruppo Cremonini. Le società paritetiche sono insidiose, perché, se tra i soci manca l'accordo, i litigi sono alla pari, e quindi più cruenti. Al momento dell'ingresso della famiglia Batista (Jbs) fu inserita nel contratto una clausola «put»: il diritto, cioè, per il cavaliere del lavoro Luigi Cremonini di vendere il rimanente 50% dopo 4 anni, per una cifra legata ai risultati. Ufficialmente si trattava di una clausola di garanzia, tuttavia poteva sembrare una strada già tracciata, con i Cremonini, in prospettiva, fuori dall'attività originaria e concentrati sulla ristorazione (Roadhouse e Chef Express) e sulla Marr (distribuzione alimentare), e i brasiliani unici azionisti di un gruppo a loro affine, con ramificazioni anche in mercati in forte sviluppo come la Russia e l'Africa.
Invece no. Dopo tre anni lo scontro è insanabile e l'ulteriore convivenza tra soci sembra impossibile. Ora, dopo mesi di colpi bassi da ambo le parti, i vertici dei due gruppi, ovvero le due famiglie, hanno ripreso a parlarsi. La soluzione che si profila sembra una sola: il riacquisto della quota dei brasiliani da parte di Cremonini. Il quale ha già avviato i primi contatti per un finanziamento finalizzato a questa soluzione. Non si parla di spiccioli e le posizioni, al momento, sono distanti. I Batista rivogliono indietro non meno del loro investimento, 225 milioni di euro, casomai rettificati (all'insù) in base al rafforzamento della società e agli ottimi risultati di questa. Cremonini parte da altre posizioni: 225 milioni meno i 65 milioni che avrebbero costituito il premio in contanti, fissato nel contratto, da incassare all'eventuale raggiungimento di un Ebitda di 90 milioni nel 2010. Quindi, 160. Posizioni distanti.
L'opzione put in mano a Cremonini costituisce uno strumento di forza, perché l'anno prossimo gli darebbe il diritto di vendere (con il correlativo obbligo dei brasiliani di comprare) in base a un valore della società stabilito con una tabellina semplice semplice, concepita con intento progressivo: se il margine lordo (Ebitda) è di 60 milioni, il moltiplicatore è 6, se è 70 è 7, se è 80 è 8, se è 90 è nove, se è 100 è dieci. Esempio: se l'Ebitda è di 70 milioni, la società ne vale 490 (70 per 7), se è di 100, ne vale 1.000 (100 per 10). Poiché il 2010 si avvia alla chiusura con un margine lordo stimato in 90 milioni, la società ne varrebbe 810, e quindi la cifra che i brasiliani l'anno prossimo dovrebbero pagare per il rimanente 50% sarebbe molto più onerosa della prima tranche.
Proprio la redditività è uno dei due grandi temi di scontro. Per contratto, la gestione appartiene a Cremonini, il controllo della finanza a Jbs. L'Ebitda, che nel 2008 era di 59,6 milioni e nel 2009 di 59,1, nel 2010 è esploso, con la prospettiva di centrare l'obiettivo del "premio". Dicono i brasiliani: i conti sono truccati proprio a questo scopo e non ce li fanno vedere. Risponde Cremonini: gli affari vanno bene perché si è ripreso il mercato, sono andati a regime alcuni investimenti importanti (tra i quali quello in Russia) e i bilanci sono stati sottoscritti "cum laude" dai soci latini, ai quali vengono consegnati report mensili. È stato un fiorire di cause.
L'altro tema della guerra riguarda la concorrenza. Nel 2009 Jbs - che negli ultimi anni è cresciuta oltre ogni previsione grazie ad acquisizioni - comprando la brasiliana Bertin, concorrente di Inalca in Russia e in Africa, è entrata in possesso dell'italiana Rigamonti (bresaole). Rendendo doppiamente meno significativo - è il punto di vista di Cremonini - l'investimento in Inalca, che da allora è stata attaccata con azioni considerate di concorrenza sleale. E anche su questo fronte è stato un moltiplicarsi di carte bollate: tra quelle avviate al tribunale di Modena, le prime cinque sono state tutte vinte da Cremonini.

La pace potrà tornare - è l'opinione corrente - solo grazie a un accordo economico e con l'uscita di uno dei due soci.

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