Cresce l’imbarazzo, ma Fini non si dimetterà

RomaSei mesi fa la promessa di Gianfranco Fini: «Se dovesse emergere con certezza che Tulliani è il proprietario e che la mia buona fede è stata tradita, non esiterei a lasciare la Presidenza della Camera»; in questi giorni un annuncio altrettanto perentorio, «non me ne vado», questa volta pronunciato ai fedelissimi e lasciato trapelare all’esterno.
Se le carte di Santa Lucia possono avere deluso chi si aspettava conseguenze clamorose, il documento che conferma il legame tra le due società off shore titolari della casa di Montecarlo e il cognato di Gianfranco Fini, un merito l’ha sicuramente avuto: quello di fare chiarezza sulle reali intenzioni del leader di Futuro e libertà nel breve e medio termine. Non si dimetterà, almeno non adesso che un po’ di attenzione dei media è tornata all’immobile monegasco e ogni suo segnale in quella direzione rischierebbe di essere interpretato come una resa.
Sicuramente l’idea di lasciare la presidenza della Camera non è stata presa in considerazione negli ultimi sei mesi, da quando cioè è scoppiato il caso dell’appartamento. Fini non ha rinunciato alla presidenza di Montecitorio quando la questione era tutta politica e a sollevarla era il Pdl sull’onda della scissione che ne ha fatto il leader di un partito. Ha mostrato di non volere fare nemmeno mezzo passo indietro quando non ha permesso che l’Aula della Camera affrontasse il tema del suo doppio ruolo, come chiedevano Pdl e Lega. Non si è spostato di un centimetro quando sono uscite le prime notizie sulle carte, che ha fatto bollare dal suo portavoce come una «minestra riscaldata». Resta da capire cosa farà se la spunterà Francesco Storace che il 2 febbraio porterà ai giudici «ulteriori documentazioni».
Sicuramente Fini non sembra intenzionato a fare un passo indietro nemmeno adesso che la richiesta di dedicarsi a tempo pieno alla politica, lasciando la terza carica dello Stato, è arrivata da ambienti non politici. E su argomentazioni che con la proprietà della casa non hanno niente a che vedere. Il Corriere della Sera ieri ha pubblicato un editoriale di Sergio Romano che mette in fila i molti nodi che deve affrontare l’Italia e spiega come in questa fase, alla guida degli organi costituzionali, servano «persone che non siano protagoniste di un duro scontro politico e reggano con forza il timone delle regole e delle procedure». Fini «dovrebbe chiedersi se le circostanze gli consentano di esercitare questa funzione nel migliore modo possibile».
Argomenti che devono avere punto nel vivo il terzo polo - ieri riunito a Todi - che della responsabilità istituzionale fa uno dei cardini della sua identità politica. Le parole pro Fini di Pier Ferdinando Casini sono un modo per esorcizzare il timore che il fronte di chi vuole le dimissioni, si allarghi oltre il Pdl. «È un Presidente della Camera impeccabile e a differenza di Berlusconi si affida al giudizio della magistratura». Sulla stessa onda il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo: «Mi pare incredibile si chiedano le dimissioni a Fini». Potrebbero essere difese di circostanza, ma non è così. Cosa pensi il leader di Fli di se stesso si capisce dalle uscite dei fedelissimi. Per Andrea Ronchi, «Il presidente della Camera è stato eccellente nel suo modo di presiedere l’assemblea dei Deputati». Il più aggressivo Fabio Granata ha accusato il premier Silvio Berlusconi di non conoscere le regole. Fini, questo il ragionamento dell’esponente Fli, può chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio perché è parlamentare, Berlusconi invece non può chiedere le dimissioni di Fini. «Berlusconi non le ha chieste», è stata la replica del capogruppo di Fli alla Camera Fabrizio Cicchitto.

Adolfo Urso tenta di rovesciare le argomentazioni di chi ritiene un danno alle istituzioni la permanenza di Fini: «Gianfranco Fini è sotto attacco e deve tutelare l’istituzione che rappresenta, che è la presidenza della Camera che è sotto attacco». La missione di Fini, insomma, è salvare le istituzioni, non fare politica. Tradotto: scordatevi le dimissioni.

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