Tu chiamala, se vuoi, stagnazione. Dall’agitar di forbici del Fondo monetario internazionale causa crisi finanziaria, l’Italia ne esce a pezzettini, con una crescita economica sminuzzata, da encefalogramma piatto. Insomma, da Paese fermo come un paracarro. Un’espansione misera, appena dello 0,3%, è quanto gli esperti di Washington prospettano nell’intero 2008 per l’ex Belpaese, segno che le turbolenze generate dal virus dei mutui subprime e dalla crisi del credito stanno amplificando debolezze già individuate nei mesi scorsi, per esempio, nell’andamento singhiozzante della produzione industriale e nello stallo dei consumi privati.
Le ultime stime del Fmi, che saranno rese ufficiali mercoledì prossimo con la pubblicazione del World economic outlook, riflettono senza dubbio il rallentamento globale. Mutuando lo stile dell’ex leader della Fed Usa, Alan Greenspan, gli economisti del Fondo osservano che c’è una possibilità su quattro di una recessione mondiale, un fenomeno che si verifica quando la crescita complessiva non supera il 3%. Per ora, siamo ancora salvi: il Pil globale dovrebbe aumentare del 3,7% rispetto al 4,1% indicato in gennaio, ma la zona euro dovrà accontentarsi di un’espansione del Pil pari all’1,3%, a fronte dell’1,8% stimato a inizio anno.
Il ritmo di sviluppo dell’Italia, tuttavia, è ben al di sotto della media europea e assimilabile al passo degli Stati Uniti, ben più esposti ai vari bubboni immobiliari e finanziari scoppiati a partire dalla scorsa estate. Ciò che più inquieta, è però il deciso deterioramento delle prospettive economiche italiane, un peggioramento tale da indurre il Fondo a tagliare drasticamente l’1,3% previsto in ottobre, ma anche quello 0,6% - percentuale in linea con le stime del governo uscente - che solo a marzo veniva considerato un traguardo raggiungibile.
Romano Prodi trova tuttavia motivi di consolazione nel generale ridimensionamento dell’outlook di crescita. «L'Fmi lo ha fatto su tutti i Paesi - ha osservato il presidente del Consiglio, ieri a Bucarest per il vertice Nato -. La crisi è più forte di quanto si pensasse, speriamo non diventi recessione come alcuni temono». In ogni caso, ha aggiunto il premier uscente, «il mio successore a Palazzo Chigi sia molto attento, perché in queste situazioni di difficoltà occorre molto, molto rigore». Un invito che Giulio Tremonti accoglie con ironia: «L’Fmi ha dimezzato il dimezzamento della crescita, e il deficit è verso il 3% - ha affermato il vicepresidente di Forza Italia -. Sono questi i conti che ci lascia Prodi. E quando dice dovete essere più rigorosi di me, sarà facile».
Se Prodi incassa senza batter ciglio il verdetto del Fondo, il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, non si sbilancia: «L’impressione generale, e questo vale per la Germania, la Francia e altre parti dell’Europa, è che il Fondo sia eccessivamente pessimista», ha spiegato Draghi ai margini dei lavori dell’Ecofin, in Slovenia. L’eccesso di pessimismo riguarda anche l’Italia? Nessuna risposta, anche se il titolare di via Nazionale ha precisato che «il Fondo ha previsto una diminuzione della domanda mondiale molto marcata e questo si ripercuote sulle stime di crescita dell’Europa e dell’Italia». Più diretto Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, che mostra di non gradire l’uso della ghigliottina da parte degli economisti del Fondo, arrivando a contestarne le stime, che «si distinguono per una osservazione della realtà europea non esatta: la crescita del Vecchio continente sarà superiore all'1,3. I fondamentali dell'economia europea - ha spiegato l'ex premier lussemburghese - sono solidi e non si può parlare ancora di recessione. E anche per l'Italia non sono d'accordo con le stime del Fondo monetario». «Checché ne dica Juncker - ha ribattuto Maurizio Sacconi (Pdl) - il governo Prodi ha messo in discussione proprio i fondamentali dell’economia italiana aprendo la voragine della spesa previdenziale, bloccando le infrastrutture ed elevando a livelli insopportabili la pressione fiscali e burocratica delle imprese».
Le maggiori preoccupazioni di Bruxelles sembrano rivolte a un’inflazione che si ostina a non abbassare la testa (al 3,5% in marzo).
Rodolfo Parietti
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