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Crespi d’Adda: quanto ci costa essere in lista

Una volta raggiunto l’obiettivo, l’inserimento sulla lista dei patrimoni dell’umanità, i tesori mondiali devono cavarsela da soli. E non è sempre facile, soprattutto quando l’afflusso di turisti e visitatori e le regole imposte dall’organizzazione per la salvaguardia del sito rendono d’obbligo una costante manutenzione, aumentando così le spese. È il caso di Crespi d’Adda, un piccolissimo paese di 450 anime in provincia di Bergamo, entrato nella prestigiosa lista dell’Unesco in quanto incredibile esempio di villaggio industriale e operaio costruito a fine ’800 e ancora perfettamente conservato. Prima del 1995, quando l’organizzazione internazionale ha promosso il candidato, a Crespi non si vedevano molti turisti, racconta Stefano Scattini, dell’Associazione Villaggio Crespi d’Adda, che si occupa di visite guidate. Ora, secondo l’assessore ai Servizi sociali Valeria Cavenaghi, arrivano circa 30mila persone all’anno. «Nulla è cambiato dal punto di vista dei finanziamenti da quando siamo sulla lista». Dall’Unesco, infatti, i siti non ricevono aiuti. «È il Comune stesso che deve provvedere al mantenimento del villaggio e di fatto anche i residente stessi devono rispettare una serie di vincoli e limitazioni, per esempio sulle ristrutturazioni e costruzioni». Certo, dice l’assessore, il turismo è molto cresciuto, «prima venivano soltanto gli addetti ai lavori e il riconoscimento dell’Unesco ha aperto la strada a un flusso più importante».
L’inserimento sulla lista dell’organizzazione «è un timbro, un marchio di qualità», continua Scattini.

«Non basta però: sono le istituzioni italiane che dovrebbero occuparsi del sito e gli introiti del turismo non bastano a coprire tutte le spese: soltanto da poco è stato aperto un bar, adesso c’è anche un ristorante».

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