Cricket, ucciso il ct del Pakistan Test del Dna per i suoi giocatori

L’allenatore strangolato in hotel dopo una sconfitta ai mondiali in Giamaica. La polizia indaga anche sulla mafia delle scommesse

La stanza è la numero 374, al dodicesimo piano del Pegasus Hotel a Kingston. Sigillata. Bob Woolmer era ubriaco di whisky e ci aveva messo sopra anche qualche pillola per tirarsi su. La sua squadra di cricket, la nazionale del Pakistan, le aveva buscate dall’Irlanda, 10 a 1. Sarebbe come se l’Italia campione del mondo di calcio venisse sconfitta da Far Oer. Proprio nel torneo mondiale. In Giamaica le cose si stanno mettendo malissimo per il cricket. Due morti in quarantotto ore, Robert Kerr, il presidente del movimento irlandese, colpito da infarto forse per l’emozione di un’impresa impossibile, e poi Bob Woolmer, l’allenatore più illustre del mondo, mister computer, perché ogni scelta tecnica, ogni disegno tattico era da lui elaborato su un pc.
Bob era un tipo tosto, biondo, dalla faccia paciosa, di stazza robusta, con un collo monumentale, era indiano di Kampur ma trasferito in Inghilterra portandosi appresso il piacere di questo sport una volta elitario, da gentleman, ma poi scivolato nelle topaie degli scommettitori.
Il corpo di Bob Woolmer era come accartocciato, vicino alla tazza del bagno, dalla guancia destra fuorusciva sangue, un taglio profondo segnava la parte alta dell’occhio sinistro, vomito ai lati della bocca. Nessun segno di effrazione alla porta, le finestre chiuse, gli arrerdi in ordine. Woolmer ha respirato altre ventiquattro ore. Il patologo, arrivato dalla Florida, ha accertato anche la frattura di un osso del collo. Strangolamento. Omicidio. O caduta, nella nebbia del whisky e delle pasticche.
La polizia giamaicana sembra ormai escludere la seconda tesi, quella accidentale. Woolmer era stanco, una crisi diabetica lo aveva sfiancato, sua moglie Gill ha detto che nessun segnale poteva far presagire una svolta così drammatica nell’esistenza di suo marito: «Ma non posso nemmeno pensare che qualcuno lo abbia ucciso».
Non vuole pensarlo, ma così sembra, così dovrebbe essere, così gli inquirenti stanno accertando. Tutti i componenti della nazionale pakistana, giocatori, massaggiatori, lo staff tecnico al completo, si sono sottoposti al test del Dna e hanno lasciato le loro impronte digitali. Bob Woolmer doveva conoscere l’assassino. Gli deve aver aperto la porta della 374, forse il whisky non lo ha aiutato a capire, forse lo scompiglio della sconfitta lo ha sgonfiato di energie. Woolmer stava completando la scrittura di un libro di 600 pagine, insieme con Tim Noakes. Un testo che illustra la filosofia dell’allenatore e il mondo che circonda il cricket. Che non è frequentato ormai soltanto da gentlemen e players (i professionisti pagati) ma dai bookmakers, soprattutto nel continente asiatico. Nel 2000 scoppiò uno scandalo durante la tournée del Sud Africa in India, i giocatori passarono informazioni agli allibratori, addomesticando lo sviluppo degli incontri e furono squalificati per sei anni. Su Woolmers giravano voci contrastanti, era anche lui uno scommettitore e non aveva pagato alcuni sospesi. Ancora: era pronto a denunciare, proprio nel libro con Noakes, tutti gli uomini neri tra i bookmakers, rivelando l’identità anche di alcuni giocatori.
Il Woolmergate sta per esplodere. La stampa inglese va sicura, è mafia, mafia degli allibratori, sono loro gli assassini, lo sostiene anche una vecchia gloria del cricket pakistano, Sarfraz Nawaz: «La morte di Bob non è naturale, è stato ucciso e chi lo ha ucciso fa parte della stessa gang che uccise Hansie Cronje». Cronje era l’allenatore del Sud Africa, morì alla guida del suo jet privato andandosi a schiantare contro una montagna nel 2002. Quel giallo non venne risolto, su questo già si scommette.
Il mondiale va avanti. Il Pakistan è stato eliminato dopo un’altra partita strana con lo Zimbabwe.

Restano le lacrime dei giocatori in gialloverde, raccolti in preghiera, restano gli occhi color del mare di Gill, la vedova che osserva nella vetrina del salotto i memorabilia di suo marito, nella casa di Cape Town, restano le impronte dell’assassino sul collo e sulle gote di Woolmer. Il computer di Bob non lo aveva previsto.

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