Crimini di carta Quando per un libro si può morire (ma anche uccidere)

Il detective e il bibliofilo hanno una caratteristica in comune. Pur di mettere le mani su ciò che vogliono – un colpevole imprendibile o un libro introvabile – sono disposti a tutto, concentrando ogni energia in quell’unico obiettivo. Raggiunto il quale, ne scelgono subito uno nuovo. I colpevoli da assicurare alla giustizia, così come i libri da rinchiudere nella propria biblioteca, sono infatti infiniti. E la “caccia” è sempre un’ossessione. Quando poi, però, un detective è egli stesso bibliofilo, allora non si parla più di ossessione. Ma di letteratura. E la cosa diventa particolarmente divertente.
Particolarmente divertente, non a caso, è il saggio biblio-poliziesco Ne uccide più la penna, sottotitolo «Storie di crimini, librai e detective» (Rizzoli), scritto da Mario Baudino, grande penna del giornalismo, grande amante di libri e paziente indagatore di storie letterarie, come queste, da Guglielmo da Baskerville fino a Nero Wolfe, tra mystery cartacei e sanguinose bibliofollie. Come recita l’esergo: «C’è chi vive per i libri. E chi ne muore».
Uno che vive per i libri rari e indaga sulle morti strane – i suoi due hobby – è l’investigatore dilettante con la passione per gli incunaboli Lord Peter Wimsey: compassato e aristocratico dandy, protagonista dei romanzi polizieschi della scrittrice britannica (e traduttrice fra l’altro della Divina Commedia in inglese) Dorothy L. Sayers (1893-1957) pubblicati a partite dal 1920 circa e arrivati in Italia grazie ai “Gialli” Mondadori negli anni Quaranta. Più o meno quando fa la sua apparizione sulla scena letteraria Henry Gamadge, gentiluomo esperto di codici antichi e consulente per ricchi collezionisti, che si diletta a dipanare complicate trame gialle: quindici in tutto, tante quante le detective story sfornate dalla newyorkese Elizabeth Daly (1878-1967), un’ostinata scrittrice che fra i propri fan contava persino Agatha Christie. E poi c’è il “vecchio”, colossale, Nero Wolfe - creato da Rex Stout nel 1934 – che divide la sua esistenza tra le orchidee, i libri e i casi di cronaca nera. Le prime le cura amorevolmente, i secondi li legge avidamente, i terzi, di solito, li risolve. È lui, peraltro, nel romanzo del 1951 Murder by the Book a porre la domanda attorno alla quale ruota il saggio biblio-filosofico di Mario Baudino: può un libro uccidere? E, specularmene, si può uccidere per un libro?
A questo proposito alcune riflessioni le offrono i vari personaggi&interpreti che affollano queste pagine: oltre a quelli citati, il Philip Marlowe di Raymond Chandler, che non è un bibliofilo ma nel Grande sonno (1939) comincia la propria avventura entrando in una libreria antiquaria; poi l’ex poliziotto, diventato libraio e bibliofilo, Cliff Janeway, inventato dall’americano John Dunning nel 1992 dopo aver aperto insieme alla moglie un negozio di libri rari, l’«Old Algonquin Bookstore» a Denver; il famigerato Lucas Corso, mercenario bibliofilo al soldo dei più esigenti collezionisti d’Europa, pronto a indagare sui libri antichi proprio come un detective sulle tracce di un criminale, immortalato da Arturo Pérez-Reverte ne Il club Dumas (1993); il commissario Melis dei romanzi del nostro Hans Tuzzi, fino all’ispettore Lukic de L’ultimo libro di Zoran Zivkovic (2010). Un intero scaffale di uomini di legge e di letture tra i quali spicca – nostro prediletto, e intuiamo anche dell’Autore-Bibliomane monsieur Baudino – il mite commissario De Vincenti che da giovane voleva fare il poeta e che si ritrovò, malgré lui, a principiare il romanzo poliziesco all’italiana, nei fascistissimi anni Trenta, sotto dettatura del giornalista e scrittore Augusto De Angelis (1888-1944). Mattatore di una manciata di gialli, circa una dozzina, da Il banchiere assassinato del ’35 a Il mistero delle tre orchidee del ’42, il commissario Carlo De Vincenti, in servizio alla Squadra Mobile di Milano, ragionatore rigoroso e filosofo in pectore, è un vero maestro nel calarsi nella psicologia dei suoi “pazienti”: criminali vari, mariti poco integerrimi e lascive signore. Tra tutti gli investigatori e bibliofili plasmati dalla storia della letteratura, di certo il più affascinate e intellettuale.

E anche il più convincente. Un onesto signore col solo vizio della lettura che in una decina d’anni di burocratica e specchiata carriera sbrogliò tutti i groppi, grovigli, gomitoli, gliuommeri e pasticciacci in cui finì per ingarbugliarsi.

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