La crisi cambia la geografia delle banche europee

La geografia delle grandi banche europee è oggi tutta diversa da come si presentava tre anni fa, alla vigilia della crisi finanziaria ed economica. La classifica, per capitalizzazione in euro, dei primi 14 gruppi europei è stata per certi versi stravolta. E l’Italia, con due grandi banche, ha pagato un dazio particolarmente caro, anche perché il 2007 ha rappresentato proprio l’anno in cui Unicredit, con l’acquisto di Capitalia, ha fatto il salto finale della sua crescita dimensionale; mentre Intesa, assorbendo CariFirenze, ha concluso la copertura del territorio italiano. Per qualche mese, e per la prima volta nella storia, due banche tricolori stavano ai vertici della top ten continentale. Ma la festa è durata poco. Si pensi, tanto per fare l’esempio più significativo, che oggi Unicredit, al netto delle manovre effettuate nel 2008 e 2009 di aumento di capitale per 10,6 miliardi, vale oggi in Borsa più o meno quanto valeva la sola Capitalia tre anni fa, al momento dell’acquisizione da parte della banca di Profumo.
Operazione che ha invece coinvolto molte delle altre banche presenti nella classifica: dalle ricapitalizzazioni monstre di Royal Bank of Scotland (17 miliardi) e Ubs (14), alle meno pesanti (nell’ordine dei 4-5 miliardi) effettuate dalle francesi Bnp Paribas e Société Générale. In ogni caso, con o senza gli aumenti, la classifica è oggi quella che si vede (nel grafico: com’era prima e com’è adesso). La Hong Kong and Shanghai Bank rimane al primo posto, ma si tratta di un conglomerato bancario euro-asiatico molto particolare, molto poco europeo. E che ha lanciato anch’esso un aumento di capitale importante, nell’ordine dei 12 miliardi di euro, per rafforzare la propria posizione. Dietro a Hsbc spiccano in positivo il Banco di Santander e Bnp Paribas. Gli spagnoli hanno aumentato il capitale di 7,2 miliardi nel 2008. Ma hanno saputo tenere il punto in termini di capitalizzazione, risultando oggi la seconda banca europea. Premiata da un buon modello di vigilanza, particolarmente votato all’azione preventiva: accantonare nei momenti buoni per superare quelli difficili. Ha aiutato anche l’esposizione in Sudamerica, che si è rivelata un punto di forza piuttosto che un fattore di rischio.
Diversamente è andata a Unicredit, che invece sconta una presenza forte nell’Est Europa che, a torto o a ragione, non è stata considerata premiante dal mercato. Inoltre la banca di Profumo (che da quasi 100 miliardi di valore è scivolata nel gruppone della fascia 30-40) è stata vissuta (alla stregua di Ubs) come troppo legata al business finanziario e troppo poco a quello commerciale puro. E come tale punita dal mercato (Abn Amro, addirittura, non esiste più). Intesa, invece, ha perso posizioni, ma è tra le rarità: niente aumenti di capitale per la banca di Passera. Un caso che ha ben pochi emuli sia di qua, sia di là dall’oceano, diventando un esempio di solidità.
Un paper degli economisti Andrea Beltratti (fresco numero uno del consiglio di gestione di Intesa) e Rene Stulz individua i fattori che influiscono nelle performance delle banche in questa crisi.

Notando che proprio chi volava nel 2006 (caso Unicredit) ha poi subito i peggiori contraccolpi con la crisi. Mentre hanno «performato» meglio le banche di quei Paesi che, prima della crisi, richiedevano regole più stringenti in termini di patrimonializzazione.

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