La crisi rimanda i giovani in portineria

La crisi è più convincente dell’«Eleganza del riccio». Non è stato il successo del libro francese a spingere i giovani a guardare con occhio interessato al mestiere del portinaio, ma la disoccupazione. La pagnotta costa e le nuove generazioni comprendono che è giusto guadagnarsela con mestieri dignitosi lasciando da parte l’ambizione di un carrierismo, infettato anche dai pregiudizi dei genitori che vedono i figli solo medici o avvocati. «Con la fame d’occupazione che gira, un posto di custode è una fortuna». Francesco Gatti, 33 anni, va avanti di sostituzioni estive al 3 di via Vincenzo Monti. Mira a diventare «fisso», ma il posto è di una signora cingalese. «Purtroppo gli stranieri si sono presi le portinerie quando noi non le volevamo, considerandole un mestiere di serie B. Ho il mutuo della casa e della macchina da pagare. Durante l’anno mi arrangio con altri mestieri, ma spero sempre che arrivi l’estate per tornare qui. Gli extracomunitari sono stati più furbi di noi. Spero che continuino con la loro abitudine, cioè che stiano sul posto otto o nove anni per farsi un malloppo con cui ritornare al loro paese».
Di fronte, al numero 6, da un decennio c’è Alberto Faraon. Sessantaquattro anni. Faceva il rappresentante; si è imbattuto in questa occasione e l’ha carpita. «E’ una mansione noiosa, sottopagata ma tranquilla. Da quando c’è la crisi le nuove leve si sono accorte di questa opportunità, che vorrei riuscire a lasciare a mio figlio». Per carità, era più divertente fare il rappresentante ma essere portinaio sotto sotto conviene. «Mi pagano 5 euro e 50 all’ora, per un totale di 49 ore di lavoro più dodici di reperibilità, inoltre c’è la casa assicurata. I giovani vengono qui, si informano, sono veramente interessati. Si capisce che la domanda è tanta ma è altrettanto vero che la disponibilità è limitata».
Bisognava cogliere al volo il momento, come ha fatto Tiziana di Benedetto due anni fa. Si sta laccando le unghie nella stanza dietro ai vetri al numero 12 della strada alberata che si diparte da corso Magenta. «Ho iniziato per caso, accettando qualche sostituzione quando ancora lavoravo in una fabbrica di confezioni - racconta la quarantenne -. Poi mi hanno chiamata. Non c’è paragone con quello che facevo prima, l’operaia. Ora ho più libertà. Divido i vari compiti a mio piacimento: pulire le scale, lucidare gli ottoni grandi, rinfrescare l’ascensore. I miei coetanei mi ritengono una privilegiata e hanno ragione».
Tutti lo vogliono, confessa Tiziana Di Benedetto, un privilegio come il suo. Anche se ci sono da mettere dei bei puntini sulle «i» secondo Alexander Rakauskas, trentadue anni, portiere al portone dirimpetto, il 9. «Confermo. I miei amici italiani mi chiedono informazioni: cosa faccio, come passo la giornata, quanto lavoro. Si capisce che gli italiani cercano il lavoro facile, ma nessuno lo è» specifica il ragazzo metà russo e metà lituano. E’ nato sottilmente diplomatico, nonostante il suo fisico da sollevatore pesi. «Quando i sedici condomini hanno un problema e si riferiscono tutti a me dico sempre: alt! Fermi tutti. Io sono svizzero, quindi neutrale. Ecco è questo aspetto che i ragazzi italiani sottovalutano. In qualsiasi altro luogo di lavoro tu hai un capo e devi accontentare lui.

Qui ne hai sedici e li devi accontentare tutti. Non è proprio una fatica scontata. Invece i milanesi chiedono la vita comoda». Comodo o complesso che sia, i «polli» nostrani nati nella bambagia oggi si bacerebbero le mani per fare il portinaio.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica