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"Cristo? Un autore Mondadori" Ecco perché studiare religione

Premetto che l’ora di religione è, per molti aspetti, forse la più impegnativa. Dico questo non solo sulla base di ciò che sento dire dagli studenti e leggo dai giornali, ma sulla base di una mia esperienza personale. Ho insegnato io stesso religione: per un anno in varie classi di una scuola media statale e per tre anni in un liceo classico non statale in parallelo con le lezioni di filosofia e storia.

In primo luogo devo dire che da questa esperienza didattica ho tratto notevoli arricchimenti, e in particolare ho capito che cosa e in che modo i giovani dai dodici ai venti anni vogliono sentirsi dire da chi insegna religione. Ma confesso che questa materia implica difficoltà superiori a quelle richieste dalle altre materie, non solo per quanto riguarda i contenuti, ma anche per quanto riguarda il metodo della loro comunicazione che richiede un coinvolgimento non solo intellettuale, ma anche emotivo fra docente e discente. E infatti dedicavo molto più tempo nel preparare le lezioni di religione di quanto non ne dedicassi alla preparazione delle lezioni di filosofia o di storia. E proprio sulla base di questa esperienza credo di poter dire con fondatezza le cose che ora dico.

In primo luogo ritengo che l’ora di religione, fatta in modo adeguato, sia veramente necessaria, non solo per chi crede, ma anche per chi non crede. Chi crede deve cercare di chiarire e di approfondire le motivazioni e i fondamenti delle proprie credenze. Chi non crede è giusto che si renda ben conto che cosa sia esattamente ciò in cui non crede e che respinge, e che quindi acquisti una visione critica del proprio non credere.

Mi pare che oggi i giovani non si dividano più in due sole classi, quella dei credenti e quella dei non credenti. Infatti si sta diffondendo sempre di più la classe degli indifferenti, che non è quella degli agnostici di un tempo, ma quella di persone che si sentono completamente estranee al problema, e che dicono che la cosa rimane del tutto estranea a loro in quanto non interessa a loro in alcun modo.

E poi c’è una nuova classe di analfabeti, della quale nessuno in passato poteva sospettare l’esistenza. Faccio un esempio assai eloquente: un collega mi ha detto che nel corso di un esame, alla domanda che il candidato dicesse chi era Cristo, quel candidato rispose che si trattava di un autore che pubblicava le sue opere per l’editore Mondadori. E la risposta veniva data da uno studente universitario, con alle spalle tutte le scuole elementari, medie e superiori. Si tratta di un monstrum dal punto di vista culturale, di cui non avevo mai sentito l’uguale. E gli esempi, anche se non di questa enormità, si potrebbero moltiplicare.
Ma, prima di passare al punto-chiave della questione, riferendomi all’affermazione che ho fatto sulla necessità dell’ora di religione, vorrei subito precisare che non andrebbe confusa o trasformata in un’ora di storia delle religioni. L’Occidente e l’Italia in modo particolare hanno una tradizione cristiana al più alto grado, che costituisce un asse portante della propria identità, senza la quale è l’identità stessa che viene dimenticata. Non c’è branca della cultura italiana ed europea in cui la componente religiosa non risulti essenziale. Senza la conoscenza della componente religiosa non si comprendono le basiliche, le cattedrali, la pittura, la musica, la letteratura, la filosofia. Che cosa si può comprendere di Dante senza l'ispirazione religiosa? Che cosa si può comprendere della pittura da Giotto a Michelangelo senza i temi religiosi che esprimono? Che cosa si può comprendere di Bach, delle messe e degli oratori di molti autori? Che cosa si può comprendere di molta filosofia, senza la domanda religiosa? La religione è stata il minimo comun denominatore della grande cultura (sia in positivo sia in negativo, ma in dinamica dialettica) fino al secolo scorso. Lo stesso Heidegger (da alcuni considerato ateo, ma a torto), non lo si capisce se non si vede nel sottofondo una sua religiosità; è noto il suo detto che ha turbato non pochi: dalla situazione in cui ci troviamo solo un Dio ci potrà salvare.
Ma il cuore del problema della religione è proprio quello che la cultura contemporanea, asservita in larga misura alla scienza (o per meglio dire allo scientismo) e alla tecnica (o per meglio dire al tecnicismo), non aiuta a comprendere: chi sono io, da dove vengo e dove vado. Se un uomo non si pone questo problema, non può conoscere se stesso, e si restringe sempre di più alla propria animalità. Mi sono sentito dire, da alcuni giovani, che tale problema non interessava per nulla a loro, perché si trattava di un problema che non serviva per nulla al fine di godersi la vita, che era ciò che invece interessava fondamentalmente loro.

Hans Georg Gadamer, uno dei più grandi filosofi del secolo scorso, diceva che il problema della vita e della morte, che l’uomo deve assolutamente affrontare, se vuole sapere chi è, nessun pensiero illuministico, ossia nessuna filosofia da sola, può risolverlo. Solo con il linguaggio religioso, in tutti i tempi e in tutte le culture, si cono cercate e ottenute certe risposte.

Naturalmente, la cosa più importante, dal punto di vista dell’insegnamento della religione, consiste nella preparazione e nella scelta dei docenti. E su questo punto io penso che si dovrebbero introdurre criteri severissimi. Può insegnare veramente religione solo colui che crede e conosce bene ciò in cui crede. E questo non basta ancora. Platone diceva che per comunicare in modo adeguato ciò che si deve comunicare, si deve conoscere molto bene le anime delle persone alle quale si vuole comunicare, e sapere trovare il giusto rapporto di comunicazione di ciò che si dice con le possibilità di coloro che devono recepire il messaggio. Questo vale per tutte le materie, ma per la religione vale in grado supremo.

Per concludere, sulla questione concernente la sentenza del Tar che esclude gli insegnati di religione dagli scrutini sarei molto cauto. Da un lato, capisco che, trattandosi di una materia non obbligatoria, dal punto di vista giuridico la tesi è sostenibile. Ma se sotto questa sentenza si nasconde l’avversione oggi imperante e a tutti i livelli contro tutto ciò che riguarda la religione, bisogna stare molto attenti. In passato era considerata cosa negativa essere atei; oggi è considerata cosa non-scientifica, e in tal senso negativa, essere credenti.

E questo è proprio quel buco nero e quel male della società contemporanea, cui l’ora di religione, ma fatta nel modo migliore, e senza subdoli giochi, potrebbe tentare di curare.

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