
Caro Vittorio,
secondo il teorema di Kahneman la maggior ricchezza comporta un maggior grado di infelicità. Forse è un assioma non del tutto condivisibile, ma la tendenza dei moderni economisti è di considerare l'homo oeconomicus un modello da rivedere, in quanto le persone non agiscono con l'unico scopo di guadagnare. Da alcuni studi è emerso che la ricchezza quale fattore determinante per la felicità si manifesta solo in presenza di una soglia di reddito alquanto bassa. Da un'analisi portata avanti dall'economista Frey alcuni anni fa, risultava che gli svizzeri fossero il Paese europeo più felice, non per il fatto di godere di un discreto livello di benessere e ricchezza, ma per il modo di concepire la democrazia: nei cantoni svizzeri si vota spesso, anche su temi complessi. La facoltà assegnata ai cittadini di poter esprimere il proprio parere anche su temi a prima vista di scarso rilievo genera una soddisfazione che supera quella relativa a una prospettiva di carriera e di maggiori soddisfazioni economiche. E laddove si arriva a forme di democrazia diretta, i servizi sociali funzionano meglio: infatti se uno straniero fruisse di tali servizi, non sarebbe soddisfatto alla stessa stregua di chi ha partecipato ai processi decisionali che li hanno originati. Pertanto i veri fattori della felicità umana sono il senso civico, la democrazia, l'armonia sociale e la possibilità di avere un effettivo controllo sulla propria vita. È proprio per tali ragioni che nelle classifiche sulla felicità nei vari Paesi europei noi italiani ci classifichiamo sempre agli ultimi posti.
Mauro Luglio
Monfalcone
Caro Mauro,
apprezzo la tua riflessione, articolata e fondata su studi solidi. Mi rincuora sapere che, nonostante l'invasione quotidiana di chiacchiere inutili e pretenziosi influencer del pensiero, ci siano ancora lettori capaci di porre l'accento sulle questioni decisive: cosa ci rende davvero felici? Tu citi Kahneman, premio Nobel, secondo cui la ricchezza oltre una certa soglia non soltanto smette di produrre felicità, ma può addirittura generare frustrazione. Non mi stupisce. A forza di correre dietro al superfluo, si perde il gusto per l'essenziale. Il guaio è che, nella nostra epoca, si è smarrito il valore del limite, e si confonde la libertà con la bulimia di desideri. Hai ragione: non è l'ammontare del conto in banca a determinare il benessere di una persona, ma la qualità della sua partecipazione alla vita, individuale, sociale e politica. I cittadini svizzeri sono più felici perché si sentono coinvolti, considerati, responsabilizzati. E, aggiungo, protetti. Vivono in una società chiusa, coesa, che non tollera derive anarchiche, dove chi entra sa di dover rispettare regole, non giunge rivendicando esclusivamente diritti e pretese.
Da noi, invece, abbiamo trasformato l'accoglienza da valore a feticcio, perdendo qualsiasi discernimento. Accogliere indiscriminatamente, senza filtri né visione, ha generato disagio, insicurezza, degrado, malessere. E un uomo, se non si sente sicuro, non potrà mai sentirsi libero. E se non è libero, non potrà essere felice. Chi ha paura perfino di prendere un autobus la sera, o di far giocare i figli al parco, non è un cittadino. Sai cos'è? È un ostaggio.
In Italia, siamo spettatori di un sistema che non sentiamo nostro.
Viviamo dove anche la ricchezza è spesso associata all'ingiustizia o alla disonestà, e la bontà all'ingenuità. Quando ci accorgeremo che la vera felicità è fatta di dignità, sicurezza, partecipazione e responsabilità, forse torneremo a sorridere, non per i bonus, ma per ciò che saremo tornati a essere: una Nazione sovrana.