E state, tempo di chiacchiere vane - certo, non è che il gelo metta giudizio e dinverno si dicano cose più serie. Intorno a ferragosto il mondo del giornalismo culturale ha scoperto che forse il Romanzo è morto, forse il Romanzo non morirà mai. Daltronde, il Romanzo è un signore vecchio stile, adornato da manto ottocentesco, che ama ancora il calesse del libro di carta: come può stuzzicare la voglia trasgressiva di un ragazzo che si tura le orecchie con gli spinotti dellIpod? Dipende come guidi il calesse, direi io, se vai al trotto o lo adoperi come un surf.
Lo spunto è pubblicitario: Time dedica la copertina allo scrittore Jonathan Franzen. A settembre uscirà, scritto di suo pugno, lennesimo Grande Romanzo Americano, sintitola Freedom (sui nostri schermi apparirà al principio del prossimo anno, prodotto da Einaudi). Si scatenano i critici: qualcuno dice che Franzen è un genio e il suo ultimo romanzo un capolavoro (la moglie di Raymond Carver, Tess Gallagher), chi che è meglio Cormac McCarthy e Philip Roth, al cui cospetto Franzen è uno studentello in cerca di fama (la tesi è del supercritico Harold Bloom, che sembra sempre di più, con convinzioni e verso opposto, lOswald Spengler della letteratura occidentale). Cè chi dice che il più grande scrittore di sempre è Charles Dickens, chi che è meglio James Joyce: sembra di parlare di calciomercato. Tutti allunisono annunciano che comunque sia il nuovo romanzo di Franzen sembra scritto nellOttocento, è un parto del XIX secolo, lera aurea del genere romanzo, e a me sembra unoscenità che uno scriva come se non esistessero cento e passa anni di ottima scrittura, comunque, felici i lettori felici tutti. In effetti, un po come ogni provocazione estiva, ma anche autunnale e perfino invernale, cè spazio per ogni opinione: tutte sono lecite, intelligentissime, pubblicabili. Probabilmente - e molto banalmente - lerrore comune è di prospettiva. Se il punto è far felici i lettori basta (come già fanno gli editori-transatlantico) indire un referendum democratico chiedendo cosa vorrebbero leggere: si chiama uno scrivano, si confeziona il pacco e la vendita, teoricamente, è assicurata.
Daltra parte, ormai, è inutile farsi strategiche illusioni, la letteratura è altrove, si cova e custodisce in altro modo. Il problema del Romanzo, in fondo, è falso fin dal midollo, esiste fin da Robinson Crusoe che è, scolasticamente, il primo romanzo moderno mai scritto. Tutti i grandi romanzieri hanno scritto romanzi criticando a fondo il genere romanzo: da Laurence Sterne a Virginia Woolf, da George Eliot a Lev Tolstoj (che allapparenza sembrerebbero più piani e appaganti dei primi due). In effetti, per un grande scrittore non esistono questioni «di genere», scrive per sconfessare ogni genere e per esistere soltanto lui, essere il primo e lultimo, il delta e la foce, per cui ogni suo libro è scritto surclassando i generi, riassumendoli, sbertucciandoli (Dostoevskij è anche un filosofo; Hermann Broch è anche poeta; Herman Melville è anche antropologo, studioso di religioni ancestrali, zoologo; Lev Tolstoj è anche un guru, un maestro di vita e di speranza).
Insomma, ogni singolo capolavoro fa genere a sé - per questo si dice che è un «classico». Sullodierna querelle ognuno può poi avere le proprie ipotesi, fustigare il prossimo con le proprie prolisse profezie: io ritengo che una favola di due pagine, istigata dalla spregiudicatezza di un bambino sia lopera somma di domani; Massimiliano Parente sente l'esigenza di costruire un romanzo polimorfico e malvagio, col passo della scienza contemporanea e della conoscenza assoluta; un terzo crederà che la «terza via» sia quella di risvegliare dai morti il ceffo di Carletto Dickens. Cè chi ama gli scrittori-monstre che dicono tutto, dallinizio alla fine (horror vacui tipicamente occidentale); io prediligo chi ha la capacità di farsi da parte, lasciando entrare nel libro il lettore, ammettendo che sia lui a compilare tutti i vuoti che, superbamente, lo scrittore ha lasciato per lui - come gesti di eccellenza e tracce di bene. Tutto è lecito, conta l'opera, mica le intenzioni di massima: leggerete e se ne siete capaci giudicherete.
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