«Le critiche? Le conosco già Wagner mi sostiene sempre»

Anche del mio “Ring” a Bayreuth dissero che era comunista, ma era uno spettacolo diverso da questo

«A punta? Ma perché mai ci vorrebbe la prua a punta?».
Patrice Chéreau mi guarda diffidente, con allegro stupore. Gli ho spiegato che la nave di Tristano e Isotta nella sua regìa alla Scala ha sconcertato qualcuno che s'aspettava di vedere un mitico vascello fendere le onde.
«Ci sono tante navi, nella realtà e nell'immaginario. Ne ho scelto una come la barca dei morti nell'Egitto antico».
E perché i costumi grigini, gli domando.
«Grigini? Ah... sì ce ne sono anche grigini».
Siamo alla Scala, in un intervallo di Tristan und Isolde, l’opera wagneriana che ha aperto la stagione.
«Qualcuno è rosso, Re Marke è bianco...».
Sono abiti moderni, però. C’è stato chi ha visto una dissacrazione, chi una specie di polemica, come se avesse voluto rappresentare un mondo di operai, magari di operai comunisti... Chéreau ride, scuota la testa, sospira «Buff...», che è la versione francese più corposa di «uff». È uno che non se la tira, avrebbe l’aria d’un cinquantenne ben portante, se non fosse che gli occhi scrutano, si sperdono, si accendono d’improvviso e divampa di colpo quella forza carismatica che hanno solo gli artisti di talento.
«Sono una mescolanza di modelli e di epoche. Ce n’è persino uno barocco... E il cappotto di Kurneval potrebbe benissimo stare nel film di Sergio Leone C’era una volta in America. Appartengono a tutti i tempi, o anzi a nessun tempo. È curioso: il pubblico mi sembra l’abbia trovato naturale. Non ho ancora letto le recensioni ho potuto solo sbirciare qua e là, soprattutto per cercare le critiche negative, ma in quelle mi sembra di ritrovare le stesse obiezioni di quando ho messo in scena il Ring di Wagner a Bayreuth, che era uno spettacolo completamente diverso».
L’ideologia, la politica, l’estetica...
«Ma non c’è tutto questo. Ho lavorato per togliere ogni suggestione che distraesse dall’azione».
Azione? Due che bevono un filtro d’amore per isbaglio, sono presi l’uno dell’altro, passano una lunga notte insieme, e muoiono ben presto...
«Ma l’azione c’è, piena. Nel testo. È un testo teatralissimo, e dentro i personaggi passa una grande storia. Poche volte ho trovato un testo che mi permettesse di fare continuamente teatro, come questo. Ogni battuta gli attori hanno qualcosa da esprimere, da recitare. Pensi al primo atto, questo loro incontro che non avviene, l’uno che non sa che cosa pensi l’altro, la tensione che cresce fra i due, lui che la sfugge, lei che lo incontra con un ricatto, e poi i due di fronte, che credono d’aver bevuto un filtro di morte».
E invece ne han bevuto uno d’amore.
«No, non l’hanno bevuto. La fedele ancella di lei ha intuito che fra di loro c’era qualcosa di grande, e che credendosi vicinissimi alla morte sarebbero stati liberi di dirsi la loro verità; e, come avrà visto, non ha attinto ai due vasi, ha dato loro dell’acqua. Ma fra loro è esploso l’amore perché c’era. E si ritrovan nel secondo atto, soli, incuranti del pericolo d’essere visti dal re a cui lei appartiene, e hanno davanti la notte, ma non hanno ancora nulla insieme, e devono inventarsi un pensiero comune, non si conoscono quasi del tutto, allora a un tratto lui prende il comando delle idee, e le insinua la filosofia della notte che porta a fondersi nell’oscurità contro la menzogna del giorno. E lei accetta, entra in questo amore assoluto, in questa ascesi che alla fine diventa mistica... Morirà toccando il sangue della ferita mortale di lui, che è qualcosa come le sacre stimmate, e portandoselo al volto... Crede davvero che di fronte a questo testo con questa musica i cantanti non abbiano voglia di mettersi a recitare con tutta l’anima? Si tratta di studiare con loro come possano incarnare questa vita, e di guidarli».
Difatti hanno recitato alla grande, in ogni dettaglio. Maestro Chéreau, le è servito aver fatto del cinema e del teatro di prosa?
«Ah, sì. Tutto serve, una cosa all’altra. Il cinema insegna ad esempio l’armonia della visione, e ancor di più l’importanza della precisione in tutti i dettagli. Se tutto è preciso, si vede tutto, gesti, sguardi. Adesso, non farò più opera per almeno tre anni, ma due letture drammatiche, La douleur di Marguerite Duras e Le grand Inquisiteur, tratto dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij: e questa volta sarà invece Tristano che mi aiuterà a fare cinema».
Come tre anni? Ci abbandona così? Non guiderà i cantanti in un’opera italiana? Nemmeno in Mozart, che è così meno complesso del Tristano?
«Ah, no, io ho lavorato su Don Giovanni e Così fan tutte. È molto più complesso, molto più difficile. Wagner ti sostiene ogni minuto».
È ancora tutto concentrato in Wagner. Chéreau segue i suoi spettacoli, e assiste a tutte le recite. Dal direttore di scena arriva il segnale che il second’atto sta per cominciare. Io spero nel tocco di vanità che c’è in ogni regista, desideroso sempre di promuovere un poco il suo prossimo lavoro.
Racconti almeno come sarà il suo nuovo film...
«È un piccolo soggetto che ho pensato io... Non l’ho ancora fatto».
Si alza, corre verso la porta.


«E proprio perché non l’ho ancora fatto non posso ancora raccontarlo».
Scoppia l’accordo a grande orchestra, vibra il tremolo degli archi. Patrice Chéreau sparisce ad aspettare la gran notte dei due amanti travolti dall’amore.

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