Silvia Kramar
da New York
La litigata è finita sui giornali e nei talk-show serali. Anche se in questo momento le news sono concentrate su fatti di ben altra importanza, tra addetti ai lavori e amanti del pettegolezzo continua a incuriosire la scazzottata tra il regista di Clerks II, Kevin Smith, e l’autorevole critico del programma televisivo Good morning America, Joel Siegel.
Durante l’ultima anteprima per la stampa Smith si è improvvisamente alzato dalla sua poltroncina per esclamare ad alta voce: «Me ne vado. In trent’anni di cinema, questa schifezza è il primo film di cui non voglio vedere la fine!». Al che il regista l'ha agguantato per la cravatta, scatenando la rissa nella sala piena di critici. L'episodio ha avuto grande risonanza a Hollywood anche perché registi e critici sono ormai ai ferri corti: questi ultimi, con le loro recensioni farcite di riferimenti colti e le loro ambizioni sociologiche, quest'anno non ne hanno azzeccata una.
Qualche settimana prima che Il Codice da Vinci uscisse nelle sale americane, le recensioni dei maggiori giornali l'avevano già stroncato. Brutto, noioso, troppo lento; le critiche si erano accavallate come onde di un mare in tempesta andato ad infrangersi contro i miliardi incassati dal film di Ron Howard e dalla Sony già al primo weekend. Era stata poi la volta di Mission Impossible III e X-Men.
Il fenomeno si sta ripetendo adesso con la nuova pellicola di Johnny Depp, I Pirati dei Caraibi, sequel della Maledizione della Prima Luna, che nel primo weekend di programmazione ha battuto i record degli incassi di Hollywood. Con 136 milioni di dollari, I Pirati dei Caraibi ha trascinato milioni di americani ai botteghini, raggiungendo fino ad oggi 358,400 milioni di dollari, record dell'anno. Eppure i critici l'avevano bocciato: sul sito Rottentomatoes.com, che classifica i film in uscita con voti da uno a cento punti, Johhny Depp si era portato a casa un modesto 54. Anche la recensione del sito Metacritic.com aveva sconsigliato di spendere dieci dollari per andarlo a vedere, mentre quotidiani e periodici erano stati tiepidi se non proprio freddi.
Una settimana fa, in occasione dell'uscita dell'ultimo lavoro di Night Shyamalan, Lady in the Water, i critici si sono divisi: sul New York Times Manohla Dargis l'ha definito un film folle, ma anche «il più appassionante dell'estate, un must-see di chi ama il cinema». Sul New York Post, invece, Lou Lumenick, critico popolarissimo della Grande Mela, l'ha definito «un film imbarazzante di un regista che vorrebbe essere Spielberg ma che ormai ha perso il suo tocco magico». Ora resta da vedere da che parte si schiererà il pubblico. Così come si attende il verdetto delle sale per l’atteso World Trade Center di Oliver Stone, che segue due poliziotti (Nicolas Cage e Michael Pena) nelle drammatiche ore dell'11 settembre. Già John Podhoretz, critico del Post, l'ha annientato, accusando il regista di averne fatto un tipico film hollywoodiano, con un finale felice, mentre la cronaca dell'attentato newyorchese dovrebbe essere quella, disperata, del peggior giorno della storia degli Usa.
Si ripeterà, come per i kolossal da botteghino Top Gun, Crocodile Dundee e Karate Kid II, una totale frattura tra le recensioni e la preferenza del pubblico? «È possibile» ammette il critico del Times A. O. Scott, che ha pubblicato un articolo ammettendo che gli americani ce l'hanno a morte coi suoi colleghi. «Ma io» ha scritto «personalmente insisto nel dire che non capisco perché gli americani insistano a voler vedere film mediocri, a pagamento, quando io sarei felice di non vederli persino gratis».
Non c'è dubbio che il 2005 sia stato un anno difficile per i botteghini. «E noi critici abbiamo cercato di aiutare il cinema facendo i buoni» ha proseguito Scott.
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