Critico critica? Giudice lo rovina: paghi 3 milioni

Giornalista e Messaggero condannati per "grave insulto al prestigio" dell'Accademia di Santa Cecilia. Compensi a ognuno degli 80 musicisti. Tutta colpa di un'intervista al direttore d'orchestra Swalisch uscita nel '96. Il critico punito per aver scritto: "Riflettere sulla frase del maestro"

Critico critica? Giudice lo rovina: paghi 3 milioni

Il critico critica? Va condannato senza se e senza ma a sborsare tre milioni di euro, in solido con il giornale che ha ospitato la sua critica. Il recordman del risarcimento danni a cui quest’oggi l’Associazione Stampa Romana dedicherà un happening molto atteso è un noto critico musicale, Alfredo Gasponi, condannato in primo e secondo grado per aver riportato sul quotidiano Il Messaggero, il 9 marzo del 1996, le parole del direttore d’orchestra tedesco Wolfgang Sawallisch che esprimeva il proprio disappunto per il fatto che l'Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, durante le prove, non si era dimostrata all'altezza della sua tradizione. In prima pagina l’articolo di Gasponi veniva «richiamato» in evidenza sotto un titolo che si faceva sicuramente leggere («A Santa Cecilia non sanno suonare») e che i giudici di Roma, più dell’articolo stesso, hanno reputato altamente lesivo dell’immagine e del decoro di tutti e 80 i professori dell’orchestra. Per questo motivo hanno deciso che il Messaggero dovesse sborsare 2 milioni e mezzo di euro, e Gasponi da solo quasi 500mila, a tutti i professori dell’orchestra di Santa Cecilia, anche se non citati - uno per uno - nell’articolo incriminato «per il grave insulto» - si legge nella sentenza d’appello - al prestigio dei musicisti di un’istituzione al massimo livello.

Detta così sembra che il critico del Messaggero abbia davvero esagerato con le critiche. Ma se andiamo a rileggere gli atti processuali confluiti ora nel ricorso in Cassazione, proprio a partire dal pezzo incriminato scopriamo dell’altro. Nell’intervista al Messaggero il noto maestro della Filarmonica di Berlino (già direttore della Vienna Symphony, della Philadelphia Orchestra e di altre famosissime orchestre) nel motivare le sue critiche per una prestazione non felice rimarcava la presenza di troppi orchestrali «aggiunti», ovvero giovani musicisti provenienti dal Conservatorio che l’Accademia di Santa Cecilia era stata costretta ad «arruolare» a integrazione dei musicisti «stabili» per poter raggiungere il numero necessario di orchestrali. Sul punto, alla domanda dell’intervistatore del Messaggero («ci sono problemi?») Sawallisch rispondeva così: «Io spero che durante i prossimi concorsi per i posti fissi in orchestra si possano trovare nuovi elementi veramente all’altezza». Più avanti il maestro aggiungeva: «Guardando al futuro io credo che sia meglio lanciare un grido d’allarme e cercare di scoprire le cause di questa situazione. Amo molto quest’orchestra e per il suo bene penso sia giusto dire la verità». A commento di queste frasi, Gasponi chiosava: «Quelle del maestro sono parole su cui bisogna riflettere».

Letto l’articolo, e soprattutto il «richiamo» in prima, gli ottanta professori d'orchestra dell’Accademia depositavano un atto di citazione contro il Messaggero, il suo allora direttore Giulio Anselmi e, appunto, il critico Gasponi. In soldoni lamentavano «l’umiliazione e il discredito» a seguito del «deplorevole costume giornalistico di stampare titoli sensazionali e scandalistici» nel più assoluto disprezzo verso la gloriosa istituzione musicale, corredando il tutto con «l’incredibile titolo» in prima pagina. Come se non bastasse si faceva presente che il presidente-sovrintendente di Santa Cecilia aveva immediatamente diramato un comunicato dove si diceva che Sawallisch smentiva di aver mai detto che l’Orchestra di Santa Cecilia «non sapeva suonare». Il critico si diceva invece in possesso di una lettera autografa del maestro nella quale Sawallisch confermava invece che l’articolo era stato redatto correttamente e ribadiva: Gasponi «non ha travisato le mie parole e il mio pensiero e ha scritto la verità». Tant’è. In entrambi i gradi di giudizio il tribunale bastonava critico e quotidiano romano in special modo perché «deve rilevarsi la falsità del contenuto specifico del titolo e del sottotitolo». Sul punto battagliavano i difensori degli imputati facendo presente che non si poteva ritenere «falso» l’articolo se non si permetteva l’ingresso nel processo della lettera di Sawallisch dove si ribadiva le perfetta fedeltà del contenuto dell’intervista pubblicata. Tre milioni di euro per un titolo di un pezzo sostanzialmente corretto sembrano, visti i precedenti in tema di querele, eccessivi.

Per non dire dei cinquecentomila euro richiesti a Gasponi per un titolo su cui nemmeno ha messo mano. Tutto ciò senza polemiche e senza alcun intento denigratorio per la gloriosa istituzione dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma (meglio specificarlo, non si sa mai). [FIRMA-PIEDE]Massimo Malpica

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