Il critico Politica sì, ma non di un solo colore

RomaLa «Fondazione Cinema per Roma» e il Comune di Roma approfittano dell'errore della Mostra di Venezia: non aver festeggiato i 90 anni di Gualtiero Jacopetti con lui e col documentario su di lui, L'importanza di essere scomodo di Andrea Bettinetti. Piera Detassis, direttore del Festival di Roma, non ha infatti annunciato «film sorpresa», ma un'appendice, la «Giornata Jacopetti», sfarinando il muretto della vergogna attorno all'autore di Africa addio (dvd Medusa). Conferma che i grossi Festival servono a qualcosa di più che l’aspetto cinematografico, come finirla con un caso di emarginazione critico-politica.
Ma al Festival di Roma ci saranno sempre i tradizionali film politici, ma alcuni (non solo quello di Bettinetti) risarciranno moralmente di un sopruso. Si ricorda sempre l'11 settembre 2001 di New York; ma c'è stato l'11 settembre 1973 di Santiago, altrettanto spettacolare e cruento, che il cinema ha ricordato più episodicamente, anche se più dignitosamente (con Missing di Costa Gavras). Sul tema il Festival di Roma proporrà Dawson Isla 10 di Miguel Littin, che sposta l'attenzione dagli «scomparsi» ai prigionieri della «Guantanamo cilena», come la Detassis ha definito la gelida isola del Pacifico.
È un filone penitenziale, ma anche un filone storico. E ce n'è bisogno, quando la storia cede alla memoria, genere cui pare appartenere - fra quelli del Festival - Triage di Danis Tanovic, sul caso di un fotografo sotto choc per ciò che ha visto in Kurdistan. Idem per uno dei film italiani respinti dal concorso di Venezia, L'uomo che verrà di Giorgio Diritti, che filtra la strage di Marzabotto attraverso gli occhi di una bambina (un bambino sarebbe stato più interessante).
Per chi vuol pensare senza piangere, meglio se ridendo c'è il tono da commedia amara scelto per Tra le nuvole da Jason Reitman (il regista di Juno, premiato proprio qui) per descrivere chi compie altre stragi, non cruente salvo suicidi, come i licenziamenti che avvengono non per salvare l'azienda, ma per aumentarne i profitti.
Se l'ingiustizia storico-economica fosse il tema principe dei grossi Festival, com'era una volta, sarebbe arduo dubitare della giustificazione di certi soggetti, specie di questi tempi. Ma l'era sessantottarda prima, l'era ottantanovarda, col declino dei comunisti e il trionfo dei libertari (di qui il pensiero unico), ha instaurato l'illusione, almeno festivaliera, che ci siano diritti sessuali senza corrispettivi doveri. È nata l'utopia del «con chi vuoi», che è alla ricerca di «spiriti della vigilia». Dalla trama, vi rientra Viola di mare di Donatella Maiorca - uno dei «tre film italiani in concorso», uno dei «cinque della selezione principale», uno dei «ventitré del Festival», come spiega la Detassis.

Cifre quasi uguali a quella della Mostra: dunque ogni film italiano del 2009 - salvo i cinepanettoni, Aldo Giovanni e Giacomo e affini - è stato considerato degno di una vetrina colta. Sarebbe come se ogni calciatore professionista andasse in Nazionale...

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