La crociata di Papa sul no al carcere preventivo «Mora ha perso 60 chili»

MilanoIl carcere milanese di Opera, spiega Alfonso Papa, è «cento volte meglio di Poggioreale», il carcere napoletano dove il deputato del Pdl venne rinchiuso il 20 luglio di un anno fa per accuse che, tre mesi dopo, la Cassazione dichiarò infondate. Ma ciò non toglie che sia un posto infernale, e che un uomo si stia lentamente spegnendo dietro le sue sbarre. Papa ieri mattina è andato a Opera a trovare questo prigioniero. L’uomo si chiama Lele Mora, fino a una manciata di anni fa era il signore indiscusso del fatuo mondo delle star e delle televisioni, il creatore di divi che oggi quasi negano di averlo conosciuto. Mora adesso è un condannato in via definitiva per bancarotta. Ed è una specie di larva. «Ha perso sessanta chili, pesa la metà di quando è entrato», dice Papa.
Mora ormai sta espiando la sua pena, ma la gran parte del carcere cui è stato sottoposto era carcere preventivo, motivato dalla Procura di Milano col pericolo di fuga. E Papa, all’uscita dal colloquio con Mora, annuncia a partire dal prossimo 20 luglio «una grande mobilitazione a sostegno della proposta di legge che limiti il carcere preventivo ai delitti di sangue, di mafia e terrorismo». Perché il carcere preventivo, dice Papa, «è una barbarie che porta in celle disumane dei cittadini che nella metà dei casi poi vengono assolti, e cui nessuno ridarà più il pezzo di vita che gli è stato tolto». Papa sa che una parte consistente del paese faticherebbe ad accettare una legge che impedisse di tenere da subito in carcere gli stupratori o i killer della strada: «Ma questa è la conseguenza di campagne che hanno educato al giustizialismo e diseducato alla giustizia».
Di questa mobilitazione Lele Mora sarà uno dei simboli ma non potrà beneficiare: la condanna a quattro anni e tre mesi per la bancarotta della sua società, la Lm Management, è passata in giudicato, e non resta che scontarla. «Mora vive questa esperienza con cristiana sopportazione e rassegnazione», racconta Alfonso Papa. Ma chi lo ha incontrato nei giorni precedenti racconta di un uomo evanescente anche sul piano mentale, il cui argomento preferito di conversazione sono le pianticelle del piccolo orto che la direzione del carcere gli ha concesso di coltivare.
L’unica strada percorribile per portarlo fuori da Opera sarebbe la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali, cui avrebbe diritto avendo trascorso già un anno in carcere e avendo maturato gli sconti di pena, la cosiddetta liberazione anticipata: ma è necessario trovargli un posto di lavoro e un domicilio, e non è facile visto che la casa di sua figlia verrà messa all’asta nei prossimi mesi.
E comunque sulla testa di Mora pende il secondo processo, in corso in questi mesi, dove è imputato di induzione alla prostituzione per avere reclutato le ragazze da invitare alle cene a casa di Berlusconi. È un’accusa che ha sempre rifiutato, spiegando di essersi limitato a volte a portare con sè alle feste di Arcore le ragazze che in quel momento stavano nella sua casa milanese.
Per lunedì prossimo i pm Ilda Boccassini e Antonio Sangermano lo hanno citato come testimone nel processo parallelo, per gli stessi fatti, a carico di Berlusconi.

Per Mora sarebbe l’occasione per trascorrere qualche ora fuori dal carcere, e magari per rendere visibili a tutti le sue condizioni. Ma, a meno di ripensamenti dell’ultimo momento, sembra che il vecchio talent scout chiederà di restare a Opera, a innaffiare le sue piantine.

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