Croff: «Roma e Venezia convivano Ma non tollereremo cannibalismi»

Michele Anselmi

da Roma

«Qui Truffaut, lì James Bond». Ovvero: a Venezia il cinema intellettuale, a Roma il cinema divertente. La battuta del sindaco Cacciari, e vai a capire se per lui la divaricazione estetica sia un obiettivo o una minaccia, sintetizza bene lo stato d'animo col quale in molti guardano al duello tra la storica Mostra di Venezia (settembre 2006) e la nascente Festa del cinema di Roma (13-21 ottobre 2006). «Due mesi di festival», ha gongolato l'Unità, tifando più per la seconda, yé-yé e «democratica», che per la prima, considerata lessa e istituzionale. Vedremo. Una cosa è certa, però: nonostante le rassicurazioni, le conferenze stampa comuni tra Cacciari e Veltroni, le simmetriche dichiarazioni, il presidente della Biennale non è entrato ancora a far parte del famoso Comitato consultivo chiamato a sancire simbolicamente la non ostilità. In una torrenziale lettera inviata ai tre quotidiani veneziani, Davide Croff ha infatti precisato che la sua partecipazione al «più volte richiamato Comitato» sarà «subordinata a un'attenta valutazione dei suoi scopi, dei partecipanti e soprattutto dell'assenza di qualsiasi conflitto di interessi».
Conferma, presidente?
«Naturalmente sì. E aggiungo che qualora la Festa di Roma, alla prova dei fatti, si rivelasse un'effettiva minaccia per Venezia (ipotesi da non scartare a priori e sulla quale mantenere alta la guardia), ritengo che l'unica risposta possibile, costruttiva ed efficace consista in un forte rilancio della Mostra».
Nella chiave proposta o temuta da Cacciari?
«Guardi, a me piacciono sia Truffaut sia James Bond. Ma la battuta sintetizza il nocciolo del problema. L'operazione potrà costituire un arricchimento a condizione che le due manifestazioni si diversifichino il più possibile. Senza inutili cannibalismi. Guai a toglierci a vicenda quel poco fieno che c'è nella greppia. Identità differenti e non sovrapposte: questo è il segreto, se non vogliamo farci del male».
Sembra facile. Il coordinatore della Festa, Giorgio Gosetti, ha spiegato: «Non sarà un'Estate romana d'autunno, ma un festival vero e proprio, radicato dentro la città e allo stesso tempo dal respiro internazionale». Infatti ci saranno 14 film in concorso, 9 anteprime, omaggi, glamour, star, eventi...
«La Festa di Roma è partita, l'ha voluta Veltroni. È un dato esogeno, oggettivo. Nessuno, tanto meno Venezia, aveva la possibilità di interferire su una decisione presa facendo ricorso a finanziamenti locali (9 milioni di euro, ndr). Quindi bisogna essere pragmatici. Sapendo che, per ora, Venezia porta in dote settant'anni di cinema, Roma solo la speranza. Convinti e confortati da ciò che oggi è la Mostra, qualsiasi nuova iniziativa non ci preoccupa. Dico solo: proviamo a definire gli ambiti. Il vero problema è che la Mostra non si difende con le querimonie ma dotandola di un nuovo Palazzo del cinema».
Servono 100 milioni di euro per costruirlo. Mica bruscolini. Mentre Roma può contare sull'Auditorium della musica e innumerevoli palcoscenici.
«Abbiamo scosso l'albero, la Regione ci darà una mano, con la Camera di commercio, la Confcommercio e gli albergatori. I soldi sono il carburante, lo so bene. Cacciari, con oculatezza imprenditoriale, sta forzando per inserire la costruzione del Palazzo in una riqualificazione più ampia del Lido. E poi abbiamo il direttore Marco Müller, che considero un asset, una risorsa fondamentale della Mostra. Al suo terzo anno darà ulteriori risultati».
Avrà visto che a Roma vanno veloci. Presentazione in pompa magna a Parigi, paginate sui giornali, Bertolucci a fare da padre nobile...
«Noi restiamo Mostra d'arte cinematografica, il che non significa cinema astruso o palloso. Basterebbe considerare l'attenzione che abbiamo riservato agli americani. Roma, invece, dovrebbe posizionarsi in modo diverso. Non a caso si chiama Festa. Credo vogliano rivolgersi al pubblico che non ha libri di cinema in casa, a un certo consumo metropolitano. Detto questo, non escludo rischi di sovrapposizione».
Nel qual caso niente Comitato?
«Io svolgo una funzione nell'interesse esclusivo della Biennale. Niente inciuci, tutte le cose che faccio sono ispirate all'obiettivo di difendere l'istituzione. Se ho favorito un rapporto di dialogo con la realtà romana, ospitando alla Mostra il primo annuncio ufficiale, è perché serviva ad evocare un'ottica di sistema».
Che cosa offre Venezia più di Roma?
«Roma è una splendida città legata al cinema, ma è anche fragorosa, dispersiva. Poco adatta, credo, a favorire quella magica concentrazione di atmosfera nella quale prosperano i festival. Appunto: che sia una Festa! Lavoro per evitare concorrenze sleali. Poi certo, quando si tratta di assicurarsi i film importanti, ci si fa qualche sgambetto».
Gosetti, il coordinatore della Festa romana, continuerà a curare le Giornate degli autori veneziane?
«Sono sicuro che non sarà a Venezia. Mi sembra pacifico».
Il ministro Buttiglione sostiene: «Credo a Veltroni quando dice di non voler fare concorrenza alla Mostra, ma certi sviluppi stanno nelle cose: se il cinema italiano si riduce a Venezia, sarà più facile esporlo a Roma». Condivide?
«Sì. E tuttavia, anche nella migliore delle ipotesi, Roma costituisce una sfida per noi. L'importante è non oscillare tra lo sterile piagnisteo e l'inutile saggezza del grillo parlante. Per storia, marchio e professionalità la Biennale ha le capacità non solo di resistere alla concorrenza, ma di trarne le ragioni e la forza per rinnovarsi».


E se la Festa diventasse un festival tradizionale?
«Abbiamo tutti le mani libere, nessuno è vincolato. Le cose vanno sperimentate sul campo. Mi auguro che il primo esperimento confermi quanto annunciato. Altrimenti cambieremo strategia».

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