da Varsavia
Un tonfo, improvviso, poi tutto è crollato. Una sala d'esposizione ridotta a un ammasso di metallo e neve, corpi insanguinati privi di vita, persone sotto le macerie che gridano aiuto, altre che cercano disperatamente i dispersi, ambulanze a sirene spiegate e centinaia di piccioni viaggiatori scappati dalla gabbie rotte che si aggirano tra le lamiere del tetto. Katowice è in Polonia, a Sud, e ieri ospitava una fiera di uccelli migratori. Il padiglione è crollato sotto il peso della neve schiacciando buona parte dei visitatori. Gli ospiti della fiera erano circa cinquecento. In cento sono rimasti sotto le macerie. Ora si scava e, purtroppo, si contano i morti. Prima quattro, poi, dieci, dodici, quindici. Il conto per ora si è fermato a venti. Ma è difficile fare un bilancio finale. Si parla di cinquanta feriti, ma anche qui è tutto approssimativo. La polizia e i soccorritori dicono che la maggior parte dei feriti è polacca. Ma ci sono anche due tedeschi, due cechi, un belga e un olandese.
Le squadre di soccorso sono all'opera, centinaia di uomini, unità speciali e unità cinofile. Gli ospedali sono stati tutti allertati e si procede alla raccolta di sangue. Il presidente polacco Lech Kaczynzki ha annunciato di aver già messo a disposizione delle famiglie delle vittime un milione di szloti, circa 250mila euro.
La struttura dell'edificio, piuttosto vecchia, non ha retto il peso delle abbondanti nevicate. «Il tetto - ha dichiarato il responsabile dei vigili del fuoco - era a un'altezza di una decina di metri ed è caduto su un centinaio di metri quadrati».
I testimoni raccontano. «Si è sentito un rumore terribile, poi tutto il tetto è venuto giù» racconta con la testa insanguinata, un veterinario belga di 60 anni, mentre i soccorritori lo portavano verso un'ambulanza. «Ero seduto a due metri dal tetto che è crollato, tutto è successo molto rapidamente, in tre secondi», ha detto un altro sopravvissuto raggiunto al telefono all'ospedale. «Se il tetto fosse crollato un'ora prima - ha aggiunto - ci sarebbe stato un massacro ancora peggiore. Prima, infatti, la sala d'esposizione era strapiena. C'era talmente tanta gente che non si riusciva a passare».
Si scava, per tutta la notte, tra mille difficoltà. È buio e fa freddo: nei giorni scorsi, il termometro in quella regione ha toccato i 35 gradi sotto lo zero. Tra le macerie si sentono squillare i cellulari, qualcuno sta chiamando parenti e amici. Ma anche i sopravvissuti chiamano, quelli ancora sepolti, che chiedono aiuto e speranza. Qualcuno racconta che è circondato da persone morte, schiacciate da travi o da pezzi di lamiera. Qualcuno si lamenta, qualcun altro piange. Tomek Michalski ha chiamato sua madre, che era allarmata. «È in vita - ha riferito la donna - ha due gambe e una spalla bloccata da sbarre di metallo. Accanto a lui c'è una giovane donna morta. Ha tentato di salvarla. Era una collega di lavoro, lascia un bimbo di sei mesi». Drammatica la testimonianza di una giovane olandese: «Ho visto mio padre, è rimasto schiacciato, sono sicuro che è morto».
Tutta la Polonia assiste in televisione ai soccorsi. Prega e spera. Si ripete ciò che è successo, da poco, anche in altri Paesi europei.
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