Cronaca giudiziaria

Fermate e subito liberate: ecco perché le borseggiatrici non vanno in carcere

Il garante dei detenuti di Milano Francesco Maisto spiega i casi in cui le donne in gravidanza o con bimbi piccoli fino a un anno di età restano libere

Fermate e subito liberate: ecco perché le borseggiatrici non vanno in carcere

Il caso delle borseggiatrici incinte riprese “in azione” su metro e stazioni sta facendo discutere da ore dopo le polemiche suscitate dal post di Monica Romano, consigliera del Pd di Palazzo Marino, accusata di difendere la “privacy” dei delinquenti. L'indiscusso successo di alcune pagine Instagram – “Milanobelladadio” in primis, dove vengono postati video di furti a turisti e pendolari– dimostra che il tema suscita non poca indignazione, anche fuori dai social. Molti cittadini si chiedono se siano quindi efficaci le norme che, anche dopo un arresto in flagranza (leggi: con le mani nel sacco) rimettono immediatamente in libertà donne incinte o con bimbi piccoli al seguito, con il rischio che ritornino a borseggiare esattamente come prima.

L'articolo 146

Francesco Maisto, il garante dei detenuti di Milano, segnala che al momento nel carcere di San Vittore di Milano c'è “una sola donna accusata di borseggio incinta, di etnia rom. Ce n'era un'altra fino a ieri, quando è stata scarcerata”. Sempre il garante prova a fare chiarezza sui casi in cui alle condannate si evita il carcere in virtù del famoso articolo 146 del codice penale. Il “differimento pena”, questo è il nome, è obbligatorio quando la condannata è in gravidanza o deve occuparsi di un bimbo molto piccolo, cioè fino all’anno di età. “Significa che se la persona che deve scontare una pena definitiva è incinta oppure ha un bimbo piccolo fino a un anno di età, questa non entra in carcere”, spiega Maisto. E se il bambino è più grande? “In questo caso il differimento è facoltativo, lo decide il magistrato di sorveglianza di caso in caso”.

Con le mani nel sacco

Diverso è il caso di un arresto in flagranza, spiega Maisto. Qui a segnare il confine tra carcere e libertà è il “rischio di recidiva”. Tradotto: se vi è il fondato timore che l'arrestato in flagranza commetta di nuovo lo stesso reato una volta libero – come succede ad esempio per le borseggiatrici cosiddette “di professione” – allora si resta in cella. E non c'è gravidanza o bimbo piccolo da accudire che tenga: in questo caso il pm di turno è obbligato a tenere dietro le sbarre la borseggiatrice.

Senza rischio di recidiva, invece, continua Maisto “interviene l'articolo dell'articolo 387 bis di codice di procedura penale”. Le forze dell’ordine devono comunicare immediatamente al pm di turno e al procuratore presso il tribunale dei minorenni che l’arrestata è incinta. E una volta arrivata “la comunicazione, questa viene immediatamente scarcerata”.

La circolare che scatenò un putiferio

Nel 2019 l'ex procuratore capo di Milano Francesco Greco aveva firmato una circolare per bloccare il carcere per tutte le donne incinte o con bimbo fino a un anno. In nessun caso – cioè né in caso di esecuzione della pena detentiva e definitiva, né in caso di arresto in flagranza, le borseggiatrici in gravidanza potevano entrare in carcere: una decisione che scatenò un putiferio. E infatti il nuovo procuratore della Repubblica Marcello Viola, l'ha revocata appena si è insediato. Maisto, garante attentissimo ai diritti delle detenute e dei detenuti, precisa: “È vero che in passato si sono verificate situazioni anomali nel reparto femminile di San Vittore, dove c'erano anche 5 donne di etnia rom incinte nello stesso momento.

E questo era un problema, anche perché nella casa circondariale di piazza Filangieri il servizio per le donne in gravidanza è inadeguato e non viene assicurato il servizio di ginecologia o ostetricia h24”.

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