Altri due "no" a Bossetti. Respinti i ricorsi che potevano riaprire il caso Yara

L'intricata vicenda giudiziaria è cominciata nel 2019 con le richieste dei legali di accedere ai reperti e verificarne lo stato di conservazione. Dopo i rinvii in Cassazione, l'ennesimo rifiuto in Corte d'assise a Bergamo

Altri due "no" a Bossetti. Respinti i ricorsi che potevano riaprire il caso Yara

Sono state respinte ancora una volta le due opposizioni formulate dai legali di Massimo Bossetti, il muratore di Malpello condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, avvenuto il 26 settembre 2010 a Brembate di Sopra (Bergamo). Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori del 52enne, avevano tentato di far riaprire il caso chiedendo di poter aver accesso ai campioni di Dna estratti dagli indumenti della vittima e di poter verificare lo stato di conservazione dei reperti. Nei giorni scorsi, due Corti d'assise a Bergamo hanno confermato il rifiuto già espresso sulle medesime richieste dai giudici della Cassazione.

Le richieste degli avvocati di Bossetti

È una faccenda lunga e controversa quella legata alla "odissea" dei reperti. Proviamo a fare un po'di ordine mettendo in fila gli eventi. La trafila giudiziaria comincia il 27 novembre 2019 quando il giudice della Corte d'Assise, Giovanni Petillo, accoglie l'istanza dei legali di Bossetti sulla possibilità di esaminare i 98 reperti (tra cui 54 campioni di Dna estratti dai vestiti, le scarpe e gli indumenti di Yara Gambirasio) relativi all'omicidio. In quei reperti c'è anche il Dna di "Ignoto Uno", successivamente attribuito al muratore di Malpello. Il 2 dicembre 2019 la stessa Corte precisa che il via libera va inteso come "mera ricognizione". Nei mesi a seguire la difesa presenta due nuove istanze chiedendo di conoscere modalità e tempistiche dell'esame. E fin qui, tutto chiaro.

Nel frattempo, su richiesta del pm Letizia Ruggeri, titolare dell'indagine, tutto il materiale viene confiscato. A giugno del 2020 il presidente Petillo riferisce agli avvocati di non poter più rispondere alle loro richieste per via della confisca (si tratta dei primi due rifiuti). A quel punto, Salvagni e Camporini fanno doppio ricorso in Cassazione: l'istanza viene accolta (vengono annullati i primi due "no") e rimandata a due Corte d'Assise di Bergamo (una è presieduta da Patrizia Ingrascì e l'altra da Donatella Nava). A maggio del 2021 arriva l'ennesima ripulsa da parte dei magistrati bergamaschi.

I due nuovi no

A fronte del doppio diniego, i legali di Bossetti presentano nuovamente ricorso in Cassazione che, però, rimanda gli atti alle Assise di Bergamo. Stando a quanto riporta il Corriere della Sera, le due opposizioni vengono discusse a porte chiuse: l'una il 21 novembre (presidente Nava) e l'altra il 29 novembre scorso (presidente Ingrascì). Entrambi i magistrati hanno respinto, per l'ennesima volta, le richieste degli avvocati.

Il fascicolo a Venezia

Nel frattempo, c'è un'altra questione su cui si attende la decisione.

Tramite i suoi legali Bossetti aveva sollecitato, con una denuncia per frode processuale nei confronti della pubblica accusa, ulteriori indagini sostenendo che i reperti non fossero stati conservati in modo adeguato. La Procura di Venezia, competente per i magistrati di Bergamo, ha respinto le accuse archiviando il caso. Salvagni e Camporini hanno fatto opposizione ed ora si attende la decisione del gip di Venezia.

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