Cronaca giudiziaria

Cascina Spiotta, riaperta l'inchiesta sull'ex Br Azzolini. La gip: "C'è l'elemento di novità"

Revocata la sentenza di proscioglimento di Lauro Azzolini pronunciata dal tribunale di Alessandria nel 1987 e riapertura delle indagini ulla sparatoria del 1975 in cui morirono Mara Cagol e Giovanni D’Alfonso

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Revoca della sentenza di proscioglimento di Lauro Azzolini pronunciata dal tribunale di Alessandria il 3 novembre 1987 e riapertura delle indagini nei prossimi sei mesi: queste le decisioni contenute nell’ordinanza della gip Anna Mascolo del Tribunale di Torino in merito alla nuova inchiesta della procura torinese sulla sparatoria avvenuta alla cascina Spiotta, in provincia di Alessandria, dove il 5 giugno 1975 morirono Mara Cagol, moglie del fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, e un appuntato dei carabinieri, Giovanni D’Alfonso.

Respinte, dunque, le istanze dell’avvocato Davide Steccanella, difensore dell’ex brigatista Azzolini, che aveva chiesto la revoca della sentenza del 1987 ma anche, in subordine, che l’istanza fosse trasmessa a un giudice territorialmente competente e una proroga di sei mesi alla Procura per recuperare la sentenza del 1987. Che, in effetti, presso il tribunale di Alessandria risulta
dispersa a causa dell’allegamento dell’archivio in seguito all’alluvione del 1994. La Gip, però, nella sua ordinanza, oltre a ribadire la competenza territoriale di Torino per la continuità sui reati di terrorismo, specifica che la revoca della sentenza è possibile in tutti i casi in cui emergano “nuove fonti di prova” tali da giustificare, a seconda dei casi, il rinvio a giudizio o la riapertura delle indagini. Le nuovi fonti di prova di cui si parla sono le undici impronte digitali di Azzolini rilevate, con le più avanzate tecniche di indagine, dai Ris dei Carabinieri sui 13 fogli dattiloscritti. Si tratta della relazione interna sui fatti della Spiotta, stilata da un brigatista che ha partecipato alla sparatoria del 1975 ma di cui, a tutt’oggi, non si conosce l’identità.

I fogli dattiloscritti sono per la prima volta in possesso, in originale, dalla procura di Torino: il documento fu rinvenutodai carabinieri nel covo di via Maderno a Milano il 18 gennaio 1976 ma solo recentemente è stato analizzato in originale nel quadro della nuova inchiesta della procura di Torino, avviata su impulso dei figli di D’Alfonso, Bruno, assistito dall’avvocato Sergio Favretto, e Cinzia, assistita dall’avvocato Nicola Brigida. La riapertura delle indagini riparte dunque dalle analisi dei Ris, che hanno confrontato, con esito positivo, le undici impronte digitali di Azzolini con il cartellino dattiloscopico dell’ex brigatista e di Mario Lupo, un alias dello stesso Azzolini. "Tali elementi - scrive la gip - considerati unitamente alla dirimente circostanza che gli accertamenti tecnici del Ris posti alla base della richiesta del Pubblico Ministero risultano esperiti sulla base delle più aggiornate tecniche di investigazione, non esistenti all'epoca dei fatti, consentono, pur in assenza della materiale disponibilità della sentenza di proscioglimento emessa dal Giudice Istruttore di Alessandria, di ritenere sussistente il requisito della "novità" richiesto". E ancora: "Quanto alla rilevanza dell'elemento di prova sopra descritto, questo giudice deve limitarsi a valutare unicamente se lo stesso giustifichi la richiesta di riapertura delle indagini ossia, come sopra specificato, appaia tale da non far escludere sin d'ora l'utilità di un supplemento d'indagine; sotto questo profilo, deve ritenersi che l'esito degli accertamenti tecnici dattiloscopici (...) rivesta una rilevanza probatoria meritevole di successivi approfondimenti, giustificandosi, in tal modo, la richiesta di riapertura indagini avanzata dal Pubblico Ministero".

Una metodologia che potrebbe aprire nuovi squarci di verità sulla sparatoria della Spiotta, per la quale sono indagati, nel quadro della nuova inchiesta della procura torinese, oltre a Lauro Azzolini, anche Renato Curcio e l’ex brigatista milanese Pierluigi Zuffada, ma che potrebbero indicare anche una ‘strada maestra’ per altri casi di quelli, soprattutto per il caso Moro. Analizzando i reperti originali, come il Memoriale scritto dallo statista nella ‘prigione del popolo’ o il caricatore di un’arma, trovato in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 e presumibilmente usato da uno dei componenti del commando che rapì il presidente della Democrazia Cristiana, si potrebbe aprire un ulteriore squarcio di verità.

"Se io raccontassi, e dovrò farlo, a qualcuno che abita all'estero che in Italia un giudice può revocare una sentenza ormai irrevocabile di assoluzione di cinquant'anni fa senza neppure poterla leggere, probabilmente mi darebbero del matto". le parole di Steccanella.

"Comunque - ha concluso - nulla da temere da queste indagini".

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