Il caso Ramy non è chiuso. I pm chiedono una nuova perizia: "Vicenda delicata"

La procura fa un passo indietro rispetto alla chiusura delle indagini. Vuole essere sicura che si arrivi a condanna prima di chiedere il processo per omicidio stradale sia per l'amico che guidava lo scooter che per il carabiniere che li inseguì per mezza Milano

Il caso Ramy non è chiuso. I pm chiedono una nuova perizia: "Vicenda delicata"
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Il caso di Ramy Elgaml non è ancora chiuso. La dinamica dell'incidente non è ancora stata chiarita fino in fondo ed è necessario, ai fini dell'indagine e vista "la peculiarità e la delicatezza della vicenda", un ulteriore approfondimento, in particolare una perizia cinematica. A chiedere di svolgere questo nuovo accertamento al gip è stata la procura di Milano: un passo indietro rispetto alla chiusura delle indagini a carico di due persone, notificata qualche settimana fa. Vuole essere sicura che si arrivi a condanna prima di chiedere il processo per omicidio stradale sia per l'amico che guidava lo scooter T-max (che non si era fermato all'alt), che per il carabiniere che li inseguì per mezza Milano, insieme a un collega, a bordo di una Giulietta. Le conclusioni degli esperti, segnalano i pubblici ministeri, erano infatti state divergenti "su diversi profili essenziali del fatto".

I quesiti al consulente

I pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano hanno ritenuto quindi di chiedere un nuovo chiarimento sullo schianto avvenuto il 24 novembre 2024. Si svolgerà in sede di incidente probatorio: si tratta di un accertamento che si svolge nel contraddittorio tra le parti, a garanzia di tutti: sia la procura che la difesa potranno fare partecipare i propri consulenti alle operazioni. Il risultato, cioè le risposte che darà il consulente, sarà una prova "cristallizzata" e utilizzabile nell'eventuale processo che potrebbe essere a carico dell'amico, del carabiniere, o di entrambi. Veniamo ai quesiti. Si chiede in primis ai consulenti se i conducenti siano stati prudenti, diligenti e se abbiano rispettato il codice della strada. E, una volta accertato questo punto, "nell'ipotesi in cui vengano individuate una o più condotte colpose, se le stesse si pongano quali antecedenti causali rispetto alla verificazione dell’evento dannoso". In parole povere si chiede se le stesse condotte colpose siano state causa dell'incidente e quindi della morte del ragazzo. È possibile infatti che la singola azione, pur in violazione delle norme del codice della strada (vista la situazione particolare, cioè un inseguimento della polizia), non sia stata la causa dell'incidente mortale.

La distanza di 1,5 metri dallo scooter

L'esperto nominato dalla procura, l’ingegnere Domenico Romaniello, era arrivato alla conclusione che il carabiniere alla guida della gazella aveva avuto un comportamento corretto: ha frenato e l’urto tra l’auto e lo scooter non si è verificato alla fine dell’inseguimento ma in precedenza ed è stato laterale. Non ci sarebbe stato, dunque, uno speronamento prima della fase finale. A una conclusione opposta è arrivato l'ingegnere Matteo Villaraggia, chiamato a esprimersi dai familiari del ragazzo, assistiti dall'avvocata Barbara Indovina: senza l'urto, lo scooter sarebbe proseguito dritto, senza schiantarsi contro il semaforo all'angolo tra via Ripamonti e via Quaranta. Raccolte le conclusioni e le controdeduzioni, i pm milanesi hanno infine optato per la linea accusatoria anche nei confronti del militare, sostenendo che non è possibile escludere totalmente la sua estraneità all'azione colposa.

​Mettevano in luce, in particolare, il tema della distanza "inidonea", meno di 1,5 metri, tenuta dal militare. Che guidava la Giulietta in un contesto particolare, cioè un inseguimento, durato diversi chilometri, a due ragazzi (uno dei quali senza casco) a bordo di uno scooter.

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