La Corte d'appello di Brescia presieduta da Anna Dalla Libera ha confermato la condanna di primo grado a otto mesi per "rifiuto d'ufficio" nei confronti dei due pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Secondo l'accusa di primo grado i due magistrati non hanno depositato, nel febbraio-marzo 2021, atti favorevoli, segnalati dal pm Paolo Storari, alle difese nel procedimento Eni-Nigeria. Il processo, per corruzione internazionale si è concluso con tutti assolti perché il fatto non sussiste. "Non ci credo. Mi dispiace, ma non ci credo", è il commento dell'avvocato Massimo Dinoia difensore dei due pm di Milano imputati. In parziale riforma della sentenza appellata, la Corte d'appello come chiesto dal pg in aula ha limitato al danno morale la condanna degli imputati pur mantenendo la pena di otto mesi.
Gli atti favorevoli a Eni nel processo per corruzione internazionale erano in particolare le chat false, ritrovate nel telefono dell'ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, il "grande accusatore" dell'inchiesta. Tra i mancati depositi, anche i documenti che mostravano come tra Armanna e lo 007 nigeriano che avrebbe dovuto confermare le accuse del primo, ci fosse in realtà un pagamento da 50 mila dollari. Secondo la difesa, non esiste una norma che obbligasse De Pasquale e Spadaro a depositare alle difese le "prove" di Paolo Storari.
Nelle motivazioni della condanna in primo grado si leggeva di fatti di "oggettiva gravità". Secondo i giudici infatti un magistrato, anche se rappresenta l'accusa, "ha il dovere di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze favorevoli alla persona indagata", e di mettere a disposizione della difesa quanto ha scoperto.
Nel processo ai vertici dell'Eni, che accusava di corruzione internazionale, De Pasquale avrebbe selezionato "chirurgicamente" gli elementi utili alla sua tesi da quelli che potevano aiutare gli imputati a dimostrare la loro innocenza.