
Disastro ferroviario di Pioltello: «La gestione della sicurezza da parte di Rfi fu corretta». Così le motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano che lo scorso 25 febbraio ha assolto otto imputati tra vertici e dirigenti di Rete ferroviaria italiana, compresi l'ex ad Maurizio Gentile e la stessa società. Condannato, a cinque anni e tre mesi, solo l'ex responsabile dell'Unità manutentiva. Nel deragliamento del 25 gennaio 2018 del regionale di Trenord 10452 Cremona-Milano Porta Garibaldi sono morte tre passeggere, Ida Milanesi, Giuseppina Pirri e Pierangela Tadini, e altri 200 sono rimasti feriti o hanno subito traumi psicologici.
Il processo, spiegano i giudici, non ha «consentito di accertare, al di là di ogni dubbio ragionevole, le ipotizzate carenze nel sistema di gestione della sicurezza ferroviaria imputate» all'amministratore delegato «alla luce del suo ruolo e delle sue prerogative». Nelle quasi 340 pagine di motivazioni la Corte della Quinta penale (giudici Canevini-Messina-Papagno), dando atto che l'incidente sia «riconducibile esclusivamente alla rottura» del giunto «ammalorato» nel cosiddetto «punto zero» dove un pezzo di rotaia si è staccato, sottolinea: la «difettosità» di quel giunto «era stata tempestivamente rilevata dagli operatori della manutenzione». E questo «aspetto, a ben vedere, comporta già l'irrilevanza di tutte le contestazioni addebitate a Gentile» in relazione alla «politica di gestione della sicurezza in Rfi condotta nella qualità di ad».
I vertici e i dirigenti di Rfi sono stati tutti assolti «per non aver commesso il fatto» dalle accuse di disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colposi. In sostanza per i giudici, gli imputati poi dichiarati non colpevoli non potevano sapere di quel giunto in pessime condizioni. E non ci sono prove di «condotte commissive o omissive» per gli «effettivi flussi informativi» di cui disponevano sulla «inadeguatezza della manutenzione». La «colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto» è stata addebitata al solo Marco Albanesi, ex capo dell'Unità di Brescia «Lav 1».
La sentenza ha condannato il tecnico di Stradella, difeso dall'avvocato Giuseppe Alamia, anche all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e al risarcimento in solido con Rfi (responsabile civile ma assolta dagli illeciti amministrativi) di oltre un milione di euro per 45 parti civili e 50mila euro alla Filt-Cgil. I pm chiedevano altre cinque condanne e pene fino a otto anni e quattro mesi. Il Tribunale conclude però per la «adeguatezza, in concreto, del modello di gestione attuato in Rfi all'epoca».