Cronaca giudiziaria

"Non dirmi cosa fare". Così Sara Ruschi è stata uccisa dal compagno marocchino

Secondo il tribunale di Arezzo, a scatenare la furia omicida del trentottenne Jawad Hicham, condannato in primo grado all'ergastolo per aver ucciso la compagna e la suocera, sarebbe stato uno scambio di insulti fra le parti capace di far esplodere una situazione ormai critica e compromessa da tempo

Jawad Hicham insieme alla compagna Sara Ruschi
Jawad Hicham insieme alla compagna Sara Ruschi

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"Non dirmi cosa fare". Così Sara Ruschi è stata uccisa dal compagno marocchino

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Jawad Hicham era capace di intendere e di volere quando ha ucciso la compagna Sara Ruschi e la suocera Brunetta Ridolfi. Avrebbe potuto trattenersi, ma avrebbe agito senza pietà. E non si tratta di delitto d'impeto: la sua non è stata una reazione a un'offesa ingiusta come sostenuto dalla tesi difensiva, perché gli insulti reciproci che i conviventi si sono rivolti poco prima della tragedia sono partiti proprio dall'imputato. Queste, in soldoni, le motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Arezzo ha condannato all'ergastolo l'uomo di 38 anni originario del Marocco protagonista della vicenda.

Una storia che risale allo scorso anno e che aveva sconvolto la Toscana (e non solo). Sulla base di quanto ricostruito dagli inquirenti, al termine dell'ennesimo litigio l'uomo aveva accoltellato a morte tanto la compagna quanto la suocera, che si sarebbe frapposta fra i due per proteggere la figlia. L'aggressione mortale si concretizzò nell'appartamento del capoluogo aretino nel quale i coniugi vivevano insieme ai figli, un ragazzo di 16 anni e una bambina di 2.

E fu proprio il figlio primogenito ad allertare le forze dell'ordine dopo aver assistito alla scena, chiedendo un intervento sul posto e mettendo al corrente gli agenti di quanto era appena avvenuto. La sentenza di primo grado (nei confronti della quale la difesa aveva già annunciato l'intenzione di ricorrere) è stata emessa lo scorso dicembre, con le motivazioni rese note nelle scorse ore. Nelle ventiquattro pagine che motivano il verdetto, secondo quel che riporta il sito web ArezzoNotizie si parla di "una situazione familiare caratterizzata dalla degenerazione dei rapporti affettivi".

Il trentottenne marocchino avrebbe minacciato la compagna anche prima del dramma in almeno un'occasione, dicendole di essere pronto ad accoltellarla. Secondo il giudice, tuttavia, "era solito fare minacce di questo tipo, ma nessuno lo prendeva in considerazione". C'è poi un passaggio della sentenza in cui si argomenta il diniego alla perizia psichiatrica di Hicham per accertare la sua capacità di intendere e volere: "non emerge da alcuna fonte di prova una psicopatologia o uno stato di disturbo neurologico grave" e non ci sarebbe stato nessun "raptus omicidiario scevro da una determinazione volitiva consapevole".

A ciò si aggiunge l'aggravante, contestata dalla difesa, della stabile convivenza tra Jawad e Sara: non dormivano più assieme, i rapporti erano logori da mesi, ma la donna aveva deciso di non cacciare l'uomo di casa per dargli tempo di trovarsi un nuovo lavoro ed una nuova sistemazione. Il duplice femminicidio sarebbe stato preceduto da un duro scambio di messaggi su WhatsApp (nonostante fossero nella stessa abitazione, ma in due stanze diverse) fra Ruschi e Hicham. Secondo il tribunale, sarebbe stato tuttavia il trentottenne marocchino a dare il via a questo crescendo di insulti, minacciando il suicidio e replicando poi in malo modo ai consigli della donna. "Non dirmi quello che devo fare", avrebbe scritto alla di fato ex-compagna.

E da lì, sarebbe iniziata la mattanza.

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