Cronaca giudiziaria

"Fatta a pezzi per paura". Le confessioni choc di Oseghale su Pamela Mastropietro

Innocent Oseghale è stato condannato all'ergastolo per aver violentato, ucciso, fatto a pezzi e nascosto in un trolley Pamela Mastropietro. La sua versione: "Su di me pregiudizi perché straniero"

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Lo scorso 22 febbraio, la corte d'assise d'appello di Perugia ha condannato all'ergastolo Innocent Oseghale, responsabile anche di violenza sessuale nei confronti di Pamela Mastropietro. L'ex pusher nigeriano era già stato condannato in via definitiva per l'omicidio della 18enne romana nel 2022. Ora lui, dal carcere di Forlì, continua a fornire la sua versione dei fatti con parole disturbanti. "Non ho ucciso la povera Pamela e nemmeno l'ho violentata. Purtroppo le ricostruzioni fatte durante il processo non hanno tenuto conto delle tante prove a mia discolpa e in parte sono sicuro di pagare questa situazione per pregiudizi personali su di me legati al fatto che io sia un immigrato di colore". Ha detto all'Adnkronos l'ex pusher nigeriano condannato all'ergastolo per aver violentato, ucciso, fatto a pezzi e nascosto in un trolley i resti di Pamela Mastropietro. Il cadavere straziato della 18 romana fu rinvenuto a Macerata la sera del 30 gennaio 2018. "Penso spessissimo a Pamela - racconta in una lettera il 35enne - a quanto è successo, sono dispiaciuto e addolorato, ma non posso pagare una colpa non mia". Tempestiva la reazione di Alessandra Verni, la mamma della vittima: "Sono cinque anni e tre mesi e mezzo che sento sciocchezze da Oseghale. - dice all'Adnkronos - Non si deve permettere di paragonare il mio dolore con il suo, il fatto che non può vedere i figli con l'uccisione di Pamela, che è morta per mano sua e dei suoi complici. Non esiste. E' colpa sua se non ho più mia figlia ed è sempre colpa sua se lui non ha più i suoi, glieli hanno tolti e hanno fatto bene".

La versione di Oseghale: "Gli ultimi istanti di Pamela"

"Non ho violentato Pamela, abbiamo avuto rapporti sessuali con il consenso di entrambi prima di andare a casa mia e una volta a casa", si difende il 35enne. Nella lettera inviata alla redazione di Adnkronos ricostruisce quelli che, secondo la sua versione dei fatti, sarebbero stati gli ultimi istanti di vita della ragazza. "Dopo aver fatto la spesa al supermarket mi sono messo a preparare la colazione mentre ascoltavamo un p' di musica. - dichiara - Pamela ha consumato una sostanza che non avevo mai visto consumare prima a nessuno e di cui quindi non conoscevo gli effetti. Si è sentita male ed è caduta a terra tutto ad un tratto. Ho sottovalutato il suo malore. Ho chiamato un amico che mi ha suggerito di darle dell'acqua. L'ho messa a riposare al letto e sono uscito. Al mio ritorno Pamela non c'era più".

"Fatta a pezzi per paura"

Oseghale nega di aver violentato e ucciso la 18enne contestando, di fatto, il solido impianto accusatorio che lo ha condannato alla pena massima prevista dall'ordinamento giuridico italiano per i reati che gli sono stati contestati. Tuttavia, amette il vilipendio: "Mi ha assalito la paura di perdere la mia compagna, già in comunità con la mia primogenita e incinta del mio secondo figlio, che purtroppo non ho nemmeno potuto vedere nascere. - spiega - Ho avuto paura di perdere tutto quello che avevo sognato nella mia vita, avere una famiglia. Ho avuto paura che nessuno mi avrebbe creduto, a me, un ragazzo di colore con in casa il cadavere di una ragazza di 18 anni". Poi continua: "Nella mia testa io ero già colpevole, non ho capito più niente e ho fatto quello che è già noto a tutti. Dovevo cercare di salvarmi. Ho pensato a come uscire da quella casa, a salvare la mia famiglia. Ed è stato così che ho commesso lo sbaglio più grande della mia vita, non chiamando subito l'ambulanza e la polizia. Ho avuto paura e chiedo scusa. E' il mio rimorso che porterò sempre dentro di me".

"Violenze dagli scafisti"

Oseghale afferma di "aver agito senza ragione" e di essersi "pentito di non averla soccorsa, di non aver chiamato l'ambulanza appena Pamela si è sentita male, di non aver chiamato la polizia. Forse Pamela si sarebbe salvata. Ho fatto qualcosa di orrendo, preso dal panico". Poi aggiunge: "Vista la mia condizione di ragazzo straniero che ha vissuto sulla sua pelle il viaggio in mare che ho fatto, partendo dalla Libia, che ha subito violenze di ogni genere insieme alle altre persone sequestrate dagli scafisti, mai e poi mai avrei violentato e ucciso una ragazza". "Lui ha subito violenze? - ribatte la mamma di Pamela - E le ha rifatte tutte su mia figlia". Contrariamente a quello che dice "non è affatto pentito, ciò che ha fatto a Pamela lo ha già fatto in Nigeria. - continua Alessandra Verni - Da mamma leggere queste parole fa salire la rabbia. Se davvero non è stato lui, perché non fa i nomi dei reali responsabili? Perché è certo che in casa (nell'appartamento in via Spalato, a Macerata, ndr) quel giorno ci fossero altri. Se è pentito, faccia i nomi di chi era con lui. Ha detto di non conoscere gli effetti della droga che Pamela si era somministrata e che l'aveva fatta sentire male. Ma come? Gliel'ha venduta lui, con i suoi connazionali. Lo sa benissimo".

"Io e la mamma di Pamela condividiamo lo stesso dolore", le parole choc

In aula, a gennaio scorso, durante la prima udienza del processo bis che lo ha visto imputato per violenza sessuale, ci sono stati alcuni momenti di tensione con la madre di Pamela Mastropietro. La donna, Alessandra Verni, aveva indossato per l'occasione un maglietta su cui era impressa la foto con i resti della figlia. "Chiedo perdono alla mamma di Pamela - scrive ancora Oseghale nella lettera ricolgendole delle parole choc - Il mio sfogo non era rivolto a lei ma a quanti mi hanno provocato e insultato durante l'udienza. Ho sbagliato a reagire in quel modo e chiedo scusa. Con la mamma di Pamela sto condividendo lo stesso dolore, perché anche io ho perso i miei figli, non so dove siano, se sanno di me, del grave errore che ho commesso, se mai un giorno potrò rivederli". Poi, riguardo al procedimento giudiziario che lo ha coinvolto conclude: "La speranza è che la realtà dei fatti emergerà".

Lo zio di Pamela: "Oseghale ha mentito e mente"

La reazione della famiglia di Pamela alle dichiarazioni di Oseghale non si è fatta attendere. "Ha mentito sin dal suo arrivo in Italia, quando ha cercato di abusare del diritto alla protezione internazionale che, contrariamente alle sue aspettative, non gli è stato riconosciuto. - dichiara Marco Valerio Verni, lo zio della 18enne nonché legale di parte civile all'Adnkronos - Così come ha mentito al processo di Pamela, chiamando in correità gli altri suoi due connazionali, inizialmente indagati con lui e sui quali sono sopraggiunti elementi interessanti che abbiamo sottoposto alla Procura competente". Quanto alla versione sostenuta dal 35enne, l'avvocato non ha dubbi: "Non fa altro che ripetere la versione dei fatti sostenuta nei cinque gradi di giudizio che finora si sono svolti e che hanno stabilito in maniera certa e definitiva la sua colpevolezza in merito all'omicidio e a quello che ha fatto sul corpo di Pamela dopo.". Non solo. "La disarticolazione chirurgica, il depezzamento in più di venticinque parti, ma anche l'inserimento nei trolley di tutto questo scempio, poi abbandonati sul ciglio della strada. - continua Verni - Solo sulla violenza sessuale si era invece, a febbraio scorso, disposto da parte della Corte di Cassazione un ulteriore accertamento svoltosi presso la Corte di Assise di Appello di Perugia che ha portato nuovamente alla conferma anche di questo reato, quale aggravante dell'omicidio".

"Quale pregiudizio ha subito?"

Nella lettera inviata ad Adnkronos, il 35enne ha scritto di essere stato vittima di "pregiudizio" perché "straniero". "Non si vede dove sia stato o in cosa sia consistito il pregiudizio denunciato da Oseghale nei suoi confronti - continua lo zio della di Pamela - dal momento che, tanto per dirne una, è stato difeso da due avvocati e sei/sette consulenti tecnici tutti molto agguerriti, godendo, peraltro, di tutte le garanzie riconosciute a qualsiasi imputato dal nostro ordinamento, come giusto che fosse". Poi conclude: "A tratti,anche ingenerando nei genitori di Pamela,ed in molte altre persone,anche un senso di frustrazione, che può essere naturale agli occhi di chi abbia avuto una figlia ridotta in quel modo e veda riconosciuti al suo carnefice i più impensabili diritti, per chi non è avvezzo alle aule di giustizia.

All'inizio, peraltro, ci siamo anche domandati chi pagasse questo suo nutrito collegio difensivo visto che, per una precedente condanna di spaccio ,non aveva potuto accedere al patrocinio a spese dello Stato, nonostante ci avesse provato".

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