
La procura di Roma, a 31 anni dalla morte di Antonella Di Veroli, ha riaperto il caso su istanza presentata, su richiesta della famiglia della vittima tramite il suo avvocato, Giulio Vasaturo. Di Veroli era una commercialista che lavorava come consulente del lavoro e venne trovata morta nel suo appartamento di via Domenico Oliva 8, nel quartiere Talenti a Roma, il 10 aprile 1994.
I carabinieri del nucleo investigativo, guidati dal pm Valentina Bifulco, hanno ripreso in mano i reperti sequestrati all’epoca della scoperta del cadavere per effettuare nuovi esami alla ricerca di eventuali novità. Tra questi ci sono anche dei bossoli di piccolo calibro. Un'ogiva venne ritrovata tra i suoi capelli. "Non rilascio dichiarazioni per rispetto verso il prezioso lavoro degli inquirenti nei confronti dei quali, io e la mia famiglia, riponiamo profonda fiducia e gratitudine", ha dichiarato la sorella della vittima tramite il legale. La donna venne trovata morta con due colpi di pistola alla testa poi venne chiusa nell'armadio con un sacchetto di plastica sul capo. È uno dei cosiddetti cold case, casi irrisolti del nostro Paese, che probabilmente si spesa di risolvere sfruttando le tecnologie più avanzate che sono attualmente disponibili. Con queste si spera, per esempio, di riuscire ad attribuire un'impronta individuata su un'anta dell'armadio dove fu trovato il corpo. Lo stesso armadio venne ritrovato sigillato con il silicone.
Di Veroli fu rinvenuta nell'armadio con indosso ancora il pigiama e stando all'analisi autoptica condotta ai tempi non morì a causa dei colpi d'arma da fuoco, ma per asfissia. Il cuscino del suo letto era forato da un colpo di arma da fuoco e la biancheria da letto era sporca di sangue Nel 1994 le indagini si concentrarono sulla sua vita privata e si focalizzarono con maggiore intensità su due persone: il fotografo Vittorio Biffani e Umberto Nardinocchi.
Il secondo uscì rapidamente dalle indagini mentre il fotografo, a cui la vittima aveva prestato 42 milioni di lire mai restituiti, venne assolto in via definitiva dalla Cassazione, dopo che già nei primi due gradi di giudizio le accuse nei suoi confronti erano cadute. Un vicino dichiarò di aver visto uno sconosciuto aggirarsi nei pressi dell'abitazione della vittima.