Si era svegliata nuda e sotto choc. L'ultima cosa che ricordava era di avere seguito Amine Dhabi, un 25enne di origine marocchine, a cui aveva chiesto aiuto a ritrovare il suo telefono. Ma l'unico obiettivo dell'uomo, che le aveva rubato il cellulare per avere la scusa di aiutarla a recuperarlo, era convincerla ad allontanarsi dai suoi amici e abusare di lei. Come poi aveva fatto, in un vagone abbandonato in una zona isolata della stazione a Bologna. La vittima aveva 17 anni. Sul caso si creò una polemica di giorni per via delle parole di un prete che disse in sostanza che se l'era cercata, ma si era poi scusato.
A otto anni dall'episodio, Dhabi è stato condannato a quattro anni e due mesi. Nel frattempo, per lunghi periodi, è rimasto libero di muoversi: era stato arrestato dalla squadra mobile già nel 2019, ma poi scarcerato per mancanza di indizi sufficienti. In corte d'Appello per l'imputato - nel frattempo finito in carcere per un'altra vicenda analoga - è arrivata la svolta: i giudici hanno condannato a quattro anni e due mesi. La Procura generale, con la pg Silvia Marzocchi, ne aveva chiesti sette, sottolineando l'assoluto stato di incapacità della vittima ad esprimere consenso. L'avvocato Alessandro Cristofori, difensore dell'imputato, aveva chiesto invece l'assoluzione per insufficienza di prove.
In primo grado venne assolto dalla violenza sessuale e condannato a quattro mesi e a 120 euro di multa solo per il furto del telefono. Poco dopo la scarcerazione però è stato nuovamente arrestato, per un'altra violenza sessuale. In secondo grado è stata riaperta l'istruttoria e nella scorsa udienza era stata risentita la giovane vittima.
La pg Marzocchi ha sottolineato lo stato di incapacità in cui si trovava quella sera, per aver assunto alcol e droga, citando le dichiarazioni dei testimoni che hanno riferito di come non si reggesse in piedi e fosse completamente fuori di sé. La sentenza ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato, escludendo l'aggravante dell'aver somministrato droga alla vittima. "Spero che questa decisione - ha commentato la madre - possa essere utile anche per altre vittime di violenza inascoltate e non credute e credo che, pur a distanza di tanti anni, sia un risultato importante, in un momento storico come questo. L'imputato approfittò di una ragazza inerme e i giudici lo hanno riconosciuto.
Io sono contenta, ma sarei stata contenta in ogni caso perché la cosa più importante è che dopo anni difficilissimi mia figlia ora sta bene. Anche se questo incubo non sarà mai cancellato del tutto, è riuscita a risollevarsi e ora possiamo tutti insieme affrontare il futuro con più serenità e fiducia nella giustizia".