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"Venite a prenderci?". L'aereo "impazzito" che si capovolse nel Pacifico

Il 2 ottobre 1996 un Boeing della compagnia peruviana AeroPerù, diretto da Lima a Santiago del Cile, sorvola i cieli come "stregato", andandosi a schiantare inesorabilmente nell'Oceano Pacifico, e causando il decesso di tutti i passeggeri a bordo

"Venite a prenderci?". L'aereo "impazzito" che si capovolse nel Pacifico
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È la sera del 2 ottobre 1996, quando un Boeing 727 della compagnia aerea peruviana AeroPerù atterra all’aeroporto "Jorge Chavez" di Lima. Molti dei passeggeri avrebbero dovuto terminare il loro volo, mentre i rimanenti 61 averbbero cambiato aeromobile diretti a Santiago del Cile. Ma dopo pochi minuti dal decollo la strumentazione di bordo sembra impazzita, i piloti non hanno più il controllo del mezzo, che precipita nell’Oceano Pacifico, portando con sé i passeggeri.

La dinamica dell’incidente

A capo del volo AeroPerù 603 c’è il capitano Erich Schreiber, capo della flotta aerea di bandiera e pilota di grande esperienza. L’ispezione esterna del Boeing 757 da parte dei supervisori e del verniciatore si conclude senza riscontrare alcun problema, quindi Schreiber effettua l’ultimo controllo prima della partenza, e alle 00.40 il Boeing decolla per raggiungere l’aeroporto "Arturo Merino Benitez" di Santiago.

Dopo un minuto di volo i piloti si accorgono che gli altimetri non stanno rilevando la reale quota del velivolo ma continuano a indicare un valore di quota pari a zero, sebbene l’aereo stia salendo. Il capitano Schreiber e il copilota David Fernàndez, turbati, si chiedono cosa stia accadendo, mentre gli allarmi in cabina iniziano a suonare. L’altimetro e l’indicatore di velocità mostrano valori incompatibili con il reale stato del volo. L’allarme di bassa velocità induce il capitano a effettuare una discesa per aumentare la velocità e recuperare portanza, ma subentra un altro problema: si attiva l’allarme cosiddetto di "rudder ratio”, che è solito attivarsi quando la velocità è troppo elevata.

I piloti sono del tutto disorientati dalla contraddizione segnalata dai due allarmi: cosa stava accadendo al velivolo? L’aereo sembra godere di vita propria, in cabina di pilotaggio regna il caos, ma ecco che si attiva l’ennesimo allarme: quello di overspeed. A questo punto i piloti contattano il controllore di volo dell’aeroporto di Lima, dichiarando lo stato d’emergenza e chiedendo un aiuto immediato. “Dichiariamo emergenza”, afferma il copilota Fernandez all’operatore di terra, “Non abbiamo strumentazione statica né altimetro né indicatori di velocità. Dichiariamo emergenza”.

Dalla torre di controllo di Lima si attivano per accompagnare il Boeing in un atterraggio strumentale, ovvero guidandolo elettronicamente nella fase finale di atterraggio. Ma da terra le indicazioni ricevute sono quelle errate fornite dalla strumentazione di bordo, ormai compromessa. Sull’aereo i piloti, ormai in completa confusione, chiedono un aereo di sostegno che li venga a prendere, perché la situazione è drammatica. “Abbiamo bisogno di un aereo”, si sente dalle registrazioni. “C'è un aereo che possa venire su a prenderci?". Dall’aeroporto di Lima decolla un Boeing 707 cargo, inviato per raggiungere il volo 603, ma anche quest'ultimo fallisce.

Le informazioni a disposizione del Boeing sono errate e il velivolo impazzito, che vaga senza meta, nel disperato tentativo di salvare i passeggeri, non viene avvistato. Alle ore 1.10 si attiva di nuovo il segnale di pericolo di prossimità del suolo, ma è troppo tardi. Il Boeing si trova troppo vicino all’acqua, e i piloti effettuano un’ultima manovra per rialzare il muso del velivolo, gridando: “Ci stiamo per capovolgere!”. E purtroppo è quello che accade. Il volo AeroPerù si schianta a 230 nodi di velocità sull’Oceano Pacifico, capovolgendosi nell’impatto.

Le ricerche del velivolo e le indagini

Su suggerimento della torre di controllo di Lima, che aveva seguito gli ultimi istanti del velivolo prima dell'impatto con l'acqua, i soccorsi vennero inviati lungo la costa di Chancay, dove si presumeva fosse ammarato il volo 603. Essendo notte fonda, sull'oceano era buio pesto e i mezzi di soccorso, pur avendo acceso tutte le luci, non riuscirono a trovare tracce del velivolo. Poco più tardi un pescatore riferì di aver notato un lampo di luce in mezzo al mare, cosa che confermò che purtroppo l'aereo si era schiantato in acqua e che le possibilità che vi fossero superstiti a bordo erano davvero esigue. Il mattino seguente i soccorritori rinvennero chiazze d'olio, alcuni pezzi di lamiera appartenenti all'aereo e poche decine di resti delle vittime.

Appena recuperate le scatole nere, gli inquirenti si misero al lavoro per capire lo svolgimento dei fatti e cosa aveva portato alla tragedia. Dapprima si pensò che a causare la sciagura fu un guasto all'avionica, ovvero alla strumentazione elettronica di bordo e che i due piloti non fossero stati addestrati adeguatamente dalla Boeing a far fronte a un'emergenza come quella che si trovarono ad affrontare. Ma quando fu recuperato un frammento della prua dell'aereo, si arrivò a una svolta cruciale per comprendere la reale causa dell'incidente.

Gli inquirenti notarono che le aperture verso l'esterno dei sensori che fornivano le informazioni riguardo alla quota e alle velocità del computer di bordo, erano ostruiti da del nastro adesivo, che di norma viene applicato dai tecnici durante la manutenzione di un aeromobile, come protezione dalla verniciatura e dalla pulizie. Si scoprì che il nastro adesivo era stato applicato all'aeroporto Chavez di Lima come da prassi, ma che l'addetto alla verniciatura non lo rimosse a fine manutenzione. Il nastro era color alluminio, quindi facilmente confondibile con il muso del Boeing, e complice la notte, non fu notato nemmeno dal capitano Schreiber.

L'ostruzione dei sensori mandò in tilt il sistema di bordo, inviando dati errati e creando confusione nei piloti. L'addetto alla verniciatura, il signor Chacaliaza, venne dunque imputato come unico responsabile della tragedia, con l'accusa di negligenza.

La compagnia AeroPerù dichiarò fallimento per non pagare alcun risarcimento alle famiglie delle vittime, che ricevettero un indennizzo nel 2006 dalla Boeing, la quale si assunse la colpa di non aver formato adeguatamente i piloti a disattivare i sistemi elettronici di bordo e a proseguire il volo con la strumentazione analogica, evitando così la tragedia.

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