Domani saranno trascorsi dodici mesi esatti da quel 15 novembre 2024 in cui Alberto Trentini, originario del Lido di Venezia, fu stato arrestato in Venezuela senza accuse chiare. Trentini era arrivato nel Paese sudamericano per una missione umanitaria con l’Ong Humanity & Inclusion, impegnata nell’assistenza a persone con disabilità. Il cooperante si trovava su un veicolo diretto a Guasdualito quando fu stato fermato da un posto di blocco del Saime e portato in detenzione. Da quel giorno, la famiglia ha vissuto l’angoscia del silenzio: contatti rari, poche informazioni ufficiali, isolamento totale.
Il ritratto di Trentini
Alberto Trentini non è un turista o un semplice viaggiatore: è un uomo che ha dedicato la vita ad aiutare gli altri. Laureato in Storia moderna e contemporanea all’Università Ca’ Foscari, ha completato un master in ingegneria sanitaria nel Regno Unito, specializzandosi in Water sanitation and health engineering. La sua carriera si è sviluppata tra Africa, Medio Oriente e America Latina, lavorando per Ong e progetti di sviluppo e assistenza. Chi lo conosce lo descrive come una persona tenace, calma, animata da una profonda empatia: la sua missione è sempre stata quella di dare voce e sostegno ai più vulnerabili. Non sorprende che abbia scelto il Venezuela, Paese difficile ma dove il bisogno di aiuto è grande. Per Trentini la cooperazione non è solo lavoro: è uno stile di vita, un impegno che comporta rischi, come purtroppo dimostra la sua detenzione.
Le condizioni di detenzione
Trentini si trova nel carcere El RodeoI, vicino Caracas. Fonti della famiglia e delle Ong denunciano che per mesi è rimasto in isolamento, senza poter contattare regolarmente i propri cari. Soffre di ipertensione, ma ha accesso limitato alle cure mediche e alle sue medicine. La famiglia teme per la sua salute e continua a chiedere garanzie al governo venezuelano e alle autorità italiane.
L’incertezza sulle accuse
Il quadro giudiziario è nebuloso. Trentini non ha ricevuto accuse concrete per lungo tempo. Alcune voci parlano di terrorismo o cospirazione, ma non ci sono conferme ufficiali. Il governo venezuelano sostiene che sia in corso un processo e che i diritti dell’italiano non siano stati violati.
La battaglia della famiglia e la diplomazia italiana
La madre, Armanda Colusso, è diventata la voce pubblica del figlio. Sono continui gli appelli accorati, le lettere aperte e le conferenze stampa per tenere viva l’attenzione sul caso. Anche lo Stato italiano segue con massima attenzione la vicenda. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenendo in Canada, ha dichiarato: "Seguiamo con molta attenzione la situazione in Venezuela e dei nostri concittadini detenuti. Stiamo facendo di tutto per farli uscire dalle carceri di Caracas. Sono detenuti politici, non sono dei criminali. E questo è un tema che ci sta particolarmente a cuore. Stiamo lavorando a livello politico, a livello diplomatico. In tutti i modi cercheremo di riportare a casa i detenuti italiani, compreso Trentini che è da un anno in carcere e non si riesce capire cosa intende fare il regime". Tajani ha, poi, confermato la volontà del governo italiano di intensificare ogni sforzo diplomatico per ottenere trasparenza e garanzie per Trentini.
Un simbolo della cooperazione e del coraggio
Trentini, con il suo anno di prigionia, è diventato più di un caso individuale: rappresenta il rischio che corrono coloro che scelgono di vivere la cooperazione come missione. La sua storia è quella di un uomo capace di grande empatia, di un cooperante che ha sempre messo gli altri prima di sé.
Dietro le sbarre di Caracas, Trentini è il simbolo di una battaglia per la dignità e i diritti umani, che trascende i confini nazionali, e del valore della solidarietà internazionale, sempre più necessario in contesti instabili.