Un flop da 5 miliardi: rivolta contro lo spot pro trans della Budweiser

La trovata politicamente corretta si è rivelata un incredibile boomerang: bruciati 5 miliardi di dollari. C’è chi punta il dito contro il sessismo, ma nel frattempo la società è costretta a fare un passo indietro

Un flop da 5 miliardi: rivolta contro lo spot pro trans della Budweiser

Il troppo stroppia, mai proverbio più giusto per quanto accaduto alla Bud Light. Nell’eterna battaglia per chi è il più progressista d’America, il marchio della celebre birra ha deciso di affidarsi all’attivista transgender Dylan Mulvaney, ma la mossa si è rivelata un clamoroso boomergang: il titolo in Borsa dell’azienda è crollato (-4,7%), perdendo circa 4,56 miliardi di dollari di capitalizzazione. Non mancano le immarcescibili accuse di sessismo, ma nel frattempo la società ha preferito fare marcia indietro realizzando un nuovo spot “patriottico”.

Il caso Bud Light

A caccia di nuove fasce di consumatori, Bud Light ha deciso di avviare una partnership con uno dei punti di riferimento del mondo trans: classe 1996, Dylan Mulvaney può vantare 1,8 milioni di follower su Instagram e 10 milioni di seguaci su TikTok e la sua transizione da uomo a donna è stata al centro del dibattito pubblico. Sfruttando la pandemia, ha raccontato la sua esperienza sui social network attirando l’interesse di numerose compagnie: da Nike a Kate Spade, è diventata una delle testimonial più richieste arrivando a incassare più di un milione di dollari. La Mulvaney, inoltre, è stata anche ospitata alla Casa Bianca per un incontro con Joe Biden. “Dio ti ama”, le parole del presidente dem.

Un colpo facile facile per Bud Light: puntare su Dylan Mulvaney per una sponsorizzazione è come scegliere Lionel Messi per tirare un calcio di rigore. Ma anche la Pulce d’oro può rivelarsi una scelta sbagliata. Denominata “365 Days of Girlhood”, la campagna pubblicitaria di Bud Light ha puntato tutto sulla storia di transizione dell’influencer transgender con tanto di lattine di birra con la sua faccia stampata sopra.

Contro ogni aspettativa di Anheuser-Busch, società madre di Bud Light, lo spot è stato accolto in maniera fredda. Oltre al drastico calo di vendite, la società ha dovuto fare i conti con vere e proprie azioni di boicottaggio: il cantante John Rich ha annunciato di aver tolto la birra dal suo bar di Nashville, mentre Kid Rock ha pubblicato un video che lo vede utilizzare le Bud Light per il tiro al bersaglio.

Tra sessismo e passi indietro

Viste le polemiche, per giustificare il flop della mossa pubblicitaria in molti hanno puntato il dito contro il sessismo. Le solite accuse contro l’America intollerante e la presunta fetta di società transfobica. “Sono un bersaglio facile”, si è discolpata la Mulvaney. Nonostante le scuse tirate fuori con prontezza, la Bud Light ha preferito fare un passo indietro per tentare di salvare la baracca: dopo aver perso miliardi, ha deciso di realizzare uno spot patriottico. I cavalli che galoppano dalla costa orientale alla costa occidentale, attraversando gli spazi più significativi del Paese.

Le persone, poi, impegnate ad alzare la bandiera degli Stati Uniti. Una pubblicità che celebra i valori a stelle e strisce, l'amicizia ma anche una certa virilità. Resta da capire se basterà per fermare il boicottaggio.

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