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Allarme a Chernobyl dopo l'attacco di un drone: "Lo scudo non blocca più le radiazioni"

Danneggiato nel febbraio scorso, il nuovo sarcofago del reattore 4 ha perso la capacità di contenimento: l’AIEA chiede interventi urgenti per evitare rischi a lungo termine

Allarme a Chernobyl dopo l'attacco di un drone: "Lo scudo non blocca più le radiazioni"
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A quasi quarant’anni dal disastro che segnò per sempre la storia dell’energia nucleare, Chernobyl torna al centro delle preoccupazioni internazionali. La struttura di confinamento che ricopre il reattore 4, costruita per isolare definitivamente il cuore radioattivo dell’impianto, non è più in grado di svolgere la sua funzione principale: impedire la fuoriuscita di radiazioni. A renderlo noto è stata l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), dopo un’ispezione condotta nei giorni scorsi sul sito ucraino.

Il deterioramento dello scudo protettivo è la conseguenza diretta di un attacco con drone avvenuto all’inizio di quest'anno, in pieno conflitto russo-ucraino. Nella notte di metà febbraio, un velivolo senza pilota ha colpito il cosiddetto New Safe Confinement, l’enorme arco d’acciaio che dal 2016 sovrasta il reattore distrutto nell’esplosione del 1986. L’impatto ha provocato un incendio e un danneggiamento significativo del rivestimento esterno, aprendo un varco nella struttura progettata per resistere almeno un secolo. Mentre le autorità ucraine hanno affermato che il drone era russo, Mosca ha negato che avesse attaccato l'impianto.

Nei giorni immediatamente successivi all’attacco, le autorità ucraine e gli ispettori internazionali avevano rassicurato sull’assenza di un aumento dei livelli di radiazione, confermando che non vi erano rischi immediati per la popolazione o per l’ambiente. Tuttavia, le verifiche tecniche approfondite effettuate a distanza di mesi hanno restituito un quadro ben più preoccupante. Secondo Rafael Grossi, direttore generale dell’AIEA, il sistema di confinamento “ha perso le sue principali funzioni di sicurezza”, in particolare la capacità di garantire l’isolamento completo dei materiali radioattivi ancora presenti nel sito.

La struttura, costata circa 1,5 miliardi di euro e realizzata grazie a un vasto sforzo finanziario e tecnologico internazionale, era considerata il simbolo della cooperazione globale sulla sicurezza nucleare. Oltre a bloccare la dispersione di radiazioni, il New Safe Confinement consente di condurre in condizioni controllate le delicate operazioni di smantellamento del vecchio sarcofago sovietico e la gestione delle scorie. La perdita, anche parziale, delle sue funzioni rappresenta quindi una minaccia sistemica, non un semplice danno localizzato.

Grossi ha confermato che sono già state eseguite riparazioni d’emergenza per stabilizzare l’area colpita e prevenire un deterioramento immediato. Ma l’AIEA è stata chiara: si tratta di interventi temporanei. Senza un ripristino completo e strutturale, l’esposizione agli agenti atmosferici, l’umidità e il tempo potrebbero aggravare la situazione, aumentando i rischi nel medio e lungo periodo. Le componenti portanti principali non risultano compromesse, ma la perdita della capacità di confinamento resta un problema grave.

Il caso Chernobyl solleva interrogativi che vanno ben oltre i confini dell’Ucraina. Per la comunità internazionale, l’episodio rappresenta uno dei segnali più inquietanti dei pericoli legati alla militarizzazione indiretta dei siti nucleari in aree di conflitto. Anche un impianto spento da decenni, se danneggiato, può trasformarsi in una minaccia transfrontaliera, con potenziali conseguenze ambientali e sanitarie su vasta scala.

Oggi i livelli di radiazione continuano a essere considerati stabili, un dato che offre un margine di rassicurazione. Ma la sicurezza di Chernobyl, avvertono gli esperti, non può più essere data per acquisita.

Il futuro dello scudo protettivo dipenderà dalla rapidità con cui la comunità internazionale saprà mobilitare risorse, competenze e garanzie di sicurezza in una delle zone più sensibili del pianeta. In gioco non c’è solo la memoria di una tragedia passata, ma la prevenzione di una nuova.

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