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L'odio per la madre dietro i massacri: come agiva il killer delle studentesse

Crimini efferati, necrofilia e cannibalismo: storia di Edmund Kemper, il serial killer che scatenò il panico a Santa Cruz

Edmund Kemper, la storia del killer delle studentesse
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Dieci vittime accertate, omicidi efferati tra necrofilia e cannibalismo. Violenza cresciuta in maniera esponenziale con il passare dei mesi, anzi dei giorni. Lo zenit raggiunto con la donna che più ha segnato la sua esistenza: la madre. Edmund Kemper rientra nell’elenco dei serial killer più truculenti della storia americana, un profilo analizzato dagli esperti per la sua personalità complessa e per il conflitto interiore affrontato per tutta la vita. Un maniaco arrabbiato con la società, tanto da prendere di mira ciò che alla società piaceva di più: le ragazze belle e ricche. Ma anche un geniale manipolatore, così bravo da trarre in inganno psichiatri ed esperti del ramo criminale.

L'infanzia traumatica

Edmund Kemper nasce il 18 dicembre 1949 a Burbank, unico figlio maschio dell’unione tra il veterano Emil Kemper Jr. e Clarnell Strandberg. Bambino brillante e con un’intelligenza sopra la media, mostra disturbi psichici fin dalla tenera età. “Ed” si sente rifiutato dai genitori, in particolare si sente respinto dal padre. I litigi tra i suoi genitori sono all’ordine del giorno e l’educazione è di quelle rigide, di quelle in cui non si prova affetto nei confronti dei figli. Kemper perde così autostima e fiducia in se stesso, sentimento che non scemerà nemmeno dopo il divorzio dei genitori, anzi.

Nel 1957 la madre trova lavoro nel Montana e la famiglia è costretta a trasferirsi. Le due sorelle dormono nella stessa stanza al primo piano, mentre lui è costretto a dormire in cantina. L’educazione si fa sempre più severa, tra urla e botte, tra schiaffi e cinghiate. L’inizio di un rapporto amore-odio che evolverà in maniera drammatica. Il futuro killer delle studentesse ha pochi amici, è timido e parla poco. Inizia così a montare la rabbia e inizia ad avere strane fantasie sulla madre.

Edmund Kemper inizia a fantasticare sulla morte, pensa a scene di violenza e sta bene. Arriva a parlare anche di camere a gas. Immagini distorte e pericolose, come confermato dalla tragica fine del gatto di casa: picchiato, sotterrato vivo e infine decapitato. In quello stesso periodo inizia a fare strani giochi con le sorelline, arrivando a tagliare le mani e la testa a una Barbie. O ancora mette in scena un’esecuzione sulla sedia elettrica: si fa legare dalle due sorelle e mima la brutale morte.

L'assassinio dei nonni

Nell’autunno del 1962 Edmund Kemper scappa di casa e va in California, il desiderio è quello di riallacciare i rapporti con il padre. L’uomo si è risposato e la moglie – visibilmente terrorizzata dagli atteggiamenti dell’adolescente, non vuole avere niente a che fare con lui. “Ed” viene dunque portato a North Fork, in Arizona, dai nonni Edmund e Maude Kemper. Lì conduce una vita noiosa, solitaria, tediosa. E l’educazione severa prosegue sulla scia della madre: tra i tanti divieti non può guardare cartoni animati e non può leggere fumetti.

Il 27 agosto del 1964 decide di passare all’azione, realizzando i desideri covati da tempo: l’assassinio dei nonni. Edmund Kemper nota la nonna seduta al tavolo della cucina, punta il fucile e spara tre colpi. Poi aspetta il ritorno a casa del nonno e lo fredda con un colpo alla nuca. Un duplice omicidio che gli dà sollievo, gli piace. Tanto da sognare di ripeterlo appena possibile. Chiama dunque la madre e le racconta tutto. La donna, terrorizzata, gli ordina di chiudere la telefonata per contattare immediatamente lo sceriffo. Kemper confessa subito, senza esitazioni. Ammette di aver pensato spesso di porre fine alla vita della nonna.

Dichiarato paranoico e psicopatico – dunque non perseguibile – Edmund Kemper viene internato nell’ospedale psichiatrico criminale di Atascadero. Su 1600 detenuti, 24 assassini e 800 condannati per reati sessuali. È un paziente modello, tanto da trovare quasi subito lavoro come inserviente nel laboratorio di psicologia. Si sottopone a test e terapia, avvicinandosi alla religione. Nel 1969, dopo cinque anni, viene dimesso con menzione d’onore e riesce a far secretare la fedina penale. I medici sono certi della guarigione di “Ed”, che viene perciò riaffidato alla madre.

La nascita del killer delle studentesse

Tornato alla vita di sempre, Edmund Kemper trova subito lavoro presso un distributore di benzina. Dà buona impressione di sé, diventando amico di tutti. Una esistenza “normale”, con qualche amicizia (coltivata nel bar Jury Room, frequentato soprattutto da poliziotti), persino qualche relazione. Il gigante di Burbank va a vivere da solo e trova impiego come operaio nel dipartimento ponti e strade della California. Tutto va per il meglio, dunque. Tant’è che il capo della squadra mobile del dipartimento di polizia di Santa Cruz gli permette di uscire con la figlia e lo invita spesso a cena.

La stabilità però dura poco, qualche mese. Edmund Kemper decide di ascoltare le voci che ronzano nella sua testa da anni. Nel suo mirino finiscono le autostoppiste, ma non le classiche hippie. “Ed” vuole le ragazze carine e ben vestite, ricche e di buona famiglia. L’ideale della perfetta studentessa, il modello della famiglia statunitense.

7 maggio 1972, Santa Cruz. Edmund Kemper offre un passaggio a Mary Ann Pesce e Anita Luchessa, studentesse dello State College di Fresno. Le porta sulle colline, nei pressi di Alameda, e le strangola. Non contento, infierisce con le coltellate. È un po’ impacciato, ma riesce a mantenere il sangue freddo: porta le due diciottenni nel suo appartamento, dove le spoglia e le fotografa con una Polaroid prima di farle a pezzi. Poi prende una testa, la porta in camera da letto e pratica sesso orale. Il giorno successivo carica i corpi in macchina per poi scaricarli tra le montagne.

Necrofilia e cannibalismo

Passano quattro mesi e Edmund Kemper torna a colpire. Il 14 settembre la terza vittima, Aiko Koo. La giovane coreana accetta il passaggio dell’omone, che dopo due ore e mezza di chiacchierata si trasforma: tira fuori il coltello, poi decide di strangolarla con un foulard. Non pago, la tira fuori dalla macchina, la stende a terra e abusa del suo corpo. Anche in questo caso, porta il cadavere nella sua abitazione e scatta delle foto osé. Poi seziona il corpo e lo smembra. Rivelerà tempo dopo di aver conservato dei pezzi in frigo e di averne mangiati.

Nel gennaio del 1973 la quarta vittima, Cindy Shall. Niente coltello, questa volta sfodera una pistola automatica calibro 22. Edmund Kemper la costringe a entrare nel portabagagli e le spara in testa. Poi va a casa della madre, abusa sessualmente del cadavere per poi farlo a pezzi. Resti gettati in mare il giorno dopo, a eccezione della testa: quella viene seppellita nel giardino, nei pressi della finestra della madre.

Passa un mese, nuovo duplice omicidio. Al termine di una furibonda lite con la madre, Edmund Kemper incontra Rosalind Thorpe e Alice Liu. Le carica in macchina, promettendo il solito passaggio, ma in realtà le porta in una zona “sicura”. Lì spara entrambe e replica il solito rituale: stupro e smembramento con testa e mani tagliate. Riesce a fare sparire tutto lontano da Santa Cruz, per la precisione sull’autostrada della Baia.

La furia contro la madre

Edmund Kemper prova a fermarsi, anche per il timore di possibili indagini sul suo conto. Ma non ci riesce, o almeno non prima di dare sfogo alla fantasia avuta sin da bambino: uccidere la madre. Il serial killer entra in azione il 20 aprile del 1973, venerdì Santo. La uccide nel sonno a martellate, poi la decapita con un coltello. Ma non è tutto, qui raggiunge lo zenit della crudeltà: le mozza la lingua e le strappa le corde vocali, poi finite in un tritarifiuti. E poi consuma un rapporto con la testa della madre.

Edmund Kemper non si ferma qui e decidere di ammazzare anche Sally Hallett, migliore amica della madre: la stordisce con un colpo in testa, la strangola e se ne va. Inizia dunque a vagabondare a bordo della sua macchina e va a ubriacarsi. Scappa verso Est, senza una meta. Guida per ventotto ore di fila, tutta una tirata, con compresse di caffeina. Arrivato a Pueblo, in Colorado, contatta le forze dell’ordine e dichiara di volersi costituire, elencando i delitti commessi.

Il processo e la condanna

Interrogato dalle autorità, confessa tutto e ripercorre le sue imprese criminali con lucidità, senza mai provare rimorso o pentimento. Il processo dura circa venti giorni e al termine viene dichiarato colpevole di omicidio di primo grado per tutti gli otto delitti di cui è imputato.

Dopo una fase di osservazione al nosocomio psichiatrico di Vacaville, viene rinchiuso nella prigione di Folson, dove si trova tuttora.

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