"Non c’è alcun serial killer”". Quelle faccine sorridenti sui luoghi di morte

Tre esperti di criminologia hanno dato vita alla Smiley Killer Theory: ma altri studiosi ritengono che l'ipotesi sia una leggenda metropolitana

"Non c’è alcun serial killer”". Quelle faccine sorridenti sui luoghi di morte

La Smiley Killer Theory è una delle teorie criminologiche statunitensi più celebri. Lo è anche grazie alla cultura pop: in American Horror Story: Cult una città viene terrorizzata da un setta di assassini seriali che dipinge una faccina sorridente sulle porte o sui muri delle case in cui colpisce. A differenza di quello che accade nella serie tv, è molto difficile che questa teoria corrisponda alla realtà, o meglio ci sono state varie obiezioni nel tempo che hanno colpito duro nei punti deboli di questa teoria.

Che cos’è la Smiley Killer Theory

Tra la fine degli anni ’90 e gli anni 2010, negli Stati Uniti, nello specifico in alcuni stati del Midwest ma non solo, si sono verificate delle bizzarre e misteriose morti, che presentavano in qualche modo delle similarità. Le somiglianze erano nelle tipologie di vittime - giovani maschi caucasici - nel luogo di ritrovamento - ossia nei pressi di uno specchio d’acqua - e nelle modalità di morte - in gran parte dovuta ad annegamento. Tuttavia all’interno di un raggio dal luogo del delitto era stato quasi sempre ritrovato il graffito di uno smiley, una faccina sorridente, oltre ad altri simboli.

Nel 2017 Kevin Gannon e Anthony Duarte, due poliziotti in pensione, insieme con il docente e giudice penale Lee Gilbertson teorizzarono un’ipotesi: quei ragazzi erano stati uccisi dalla stessa mano, un serial killer o forse più di uno che agiva con le stesse modalità. Ma qual era il movente? Secondo i tre esperti, semplicemente gli assassini o l’assassino erano mossi da una rivalsa contro il “privilegio bianco”. In altre parole bersaglio di questi killer erano giovani maschi caucasici i cui genitori potevano permettersi di farli studiare al college, eventualità che negli Stati Uniti rappresenta un costo non indifferente.

Le vittime

Gannon, Duarte e Lee, come riporta Rolling Stone, per formulare la loro teoria, sono partiti da alcuni casi-tipo, una quarantina: si trattava di potenziali omicidi che erano stati categorizzati come annegamenti accidentali, oppure non si era stati in grado di formulare ipotesi di reato neppure da parte di ignoti. Il numero poi è salito a 335 casi.

Tra i più noti rientra quello del 24enne William Hurley, che la notte dell’8 ottobre 2009 aveva chiamato la fidanzata perché lo andasse a prendere dopo una partita dei Boston Bruins. La ragazza, prima che cadesse la linea perché la batteria del telefonino era scarica, aveva sentito una voce urlare l’indirizzo: 99 Nashua Street, a Boston appunto. Una volta arrivata in quel luogo, non aveva trovato nessuno. Sei giorni dopo il corpo di Hurley fu ripescato dal fiume Charles, il corpo segnato da ferite da corpo contundente, nel sangue alti livelli di Ghb, la cosiddetta “droga dello stupro”. Ma per gli inquirenti il suo fu un annegamento.

Un altro caso celebre è quello di Patrick McNeill, studente al Fordham College, che scomparve nel 1997 a New York. Il suo corpo fu ripescato un mese dopo nell’East River, e anche in quel caso gli inquirenti puntarono sull’annegamento. Secondo i tre esperti, i casi che rientravano nella loro teoria comprendevano vittime nel cui sangue erano stati trovati alti livelli di Ghb, oltre che segni di decomposizione incompatibili con la data della scomparsa. Come se questi giovani fossero stati sequestrati per un certo periodo e poi uccisi. Nell’elenco delle presunte vittime dello Smiley killer c’è anche una persona mai ritrovata. Si tratta di Brian Shaffer, uno studente 27enne di Columbus, in Ohio, scomparso l’1 aprile 2006 e mai ritrovato. Sebbene la scomparsa di Shaffer sia stata catalogata come allontanamento volontario, c’è chi crede che sia l’unica vittima mai ritrovata di quel o di quei serial killer.

Le obiezioni alla Smiley Killer Theory

A oggi - ha chiarito l’Fbi in una nota rilasciata nel periodo di massima diffusione della teoria, come riporta Crime and Investigation - non abbiamo sviluppato alcuna prova a sostegno dei collegamenti tra queste tragiche morti o alcuna prova a sostegno della teoria secondo cui queste morti sono opera di uno o più serial killer”.

Nel 2010 uscì lo studio dal titolo Drowning the Smiley Face Murder Theory, a opera del Center for Homicide Research. Nello studio sono contenute le obiezioni più importanti che renderebbero la Smiley Killer Theory nient’altro che una teoria del complotto o addirittura una leggenda metropolitana.

Una di queste obiezioni riguarda le tempistiche: come si fa a dimostrare che il graffito con la faccina sorridente sia stato realizzato contestualmente con il presunto omicidio e che invece non sia preesistente? Inoltre si tratta di graffiti di un tipo molto comune, mai perfettamente identici l’uno all’altro, presenti anche in aree dove non è accaduto nessun presunto delitto.

C’è poi un’altra questione: in pochissimi di questi casi sono stati ritrovati sui corpi segni di violenza o tortura. E l’annegamento, come metodo per uccidere qualcuno, è presente nella letteratura criminologica sì, ma è limitato all’ambito domestico.

Infine lo studio ritiene più probabile che, date le situazioni precedenti alla morte - tutti i casi inclusi nella Smiley Killer Theory riguardano giovani che avevano trascorso una serata alcolica prima di scomparire - è più semplice ipotizzare che l’annegamento sia stato accidentale in relazione appunto al consumo di alcol, nei pressi della zona del successivo ritrovamento.

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