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Guerra ai narcos: sangue a Rio. File di cadaveri nelle favelas

L’operazione di polizia più sanguinosa nella storia della città: oltre 138 morti. Il Comando Vermelho ha risposto con armi d’assalto. Fugge il boss ricercato

Guerra ai narcos: sangue a Rio. File di cadaveri nelle favelas
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Rio de Janeiro è in guerra e quella deflagrata l'altroieri è la più sanguinosa operazione di polizia nella storia della città. Il bilancio delle vittime, purtroppo ancora provvisorio, continua a crescere: almeno 138 morti, secondo i dati aggiornati ieri sera dal ministero della Giustizia, tra presunti narcotrafficanti, quattro agenti e decine di civili. I corpi, ammassati dai residenti lungo le strade dei complessi di Alemão e Penha due aree che ospitano decine di favelas e oltre 220mila abitanti continuano a essere raccolti dopo ore di autentica guerriglia urbana. «Rio sembra Gaza», ha commentato l'opinionista di una delle principali tv locali.

L'operazione, condotta da oltre 2.500 uomini della polizia militare e civile, era diretta contro il Comando Vermelho, la più potente organizzazione criminale che controlla questa parte della città. I narcos hanno risposto con armi da guerra, droni carichi di bombe e fucili d'assalto capaci di abbattere elicotteri. Autobus e camion sono stati sequestrati per bloccare gli accessi ai quartieri, compreso il centro, mentre raffiche di oltre duecento colpi al minuto hanno trasformato le vie di Alemão e Penha in un campo di battaglia. Nonostante ciò, circa 70 uomini del gruppo criminale sono riusciti a garantire la fuga del leader del Comando Vermelho, Edgar Alves Andrade, noto come Doca.

Molte vittime sono state ritrovate sulla cosiddetta «collina della Misericordia», epicentro degli scontri e punto di concentrazione dei reparti speciali del Bope. La polizia militare ha spiegato che gli agenti avevano previsto la fuga dei membri del Comando Vermelho verso la zona alta del «morro» come viene chiamata qui la collina dove negli ultimi anni sono sorte una trentina di comunidades, il termine politicamente corretto per indicare le favelas. «I sospetti che si sono arresi sono stati arrestati», ha dichiarato Marcelo Menezes. Ma, secondo numerose testimonianze, la maggior parte dei corpi è stata ritrovata solo dopo la ritirata delle forze di sicurezza.

In piazza São Lucas, i cadaveri sono stati allineati per consentire ai familiari il riconoscimento, spesso possibile solo grazie ai tatuaggi. «Nessuno ha mai visto niente di simile», ha raccontato una donna di Penha davanti alla fila di corpi sull'asfalto. Il governatore Cláudio Castro, esponente della destra bolsonarista, ha difeso l'operazione: «È una guerra dello Stato contro i narcoterroristi», ha affermato, chiedendo il sostegno del governo federale e denunciando «l'isolamento» di Rio. La città, l'altroieri, è rimasta paralizzata: scuole e università chiuse, trasporti nel caos, voli sospesi all'aeroporto Galeão e migliaia di lavoratori costretti a tornare a casa a piedi. «Sembrava di essere tornati alla pandemia», raccontano i residenti, descrivendo una Rio spettralmente vuota anche ieri.

In serata, il ministro della Giustizia Ricardo Lewandowski si è riunito con Castro per varare misure d'emergenza, mentre il presidente Lula «sconvolto dal numero delle vittime» ha escluso per ora l'invio dell'esercito. «La garanzia dell'ordine pubblico deve essere richiesta dal governatore, non può essere una decisione spontanea del presidente», ha spiegato Lewandowski.

Il governo federale ha messo a disposizione uomini della Força Nacional e tecnici dell'Istituto forense per l'identificazione delle salme, l'Onu ha chiesto un'inchiesta approfondita ma a Rio resta la sensazione che la guerra non sia finita.

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