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La legge dell'81, la crisi abitativa e l'onda migratoria: viaggio nella crisi di New York

Da settimane la Grande Mela è sotto pressione per l'arrivo di migranti centroamericani. Il sindaco chiede aiuto, ma la crisi ha radici più profonde. C'entra una legge del 1981, ma anche una crisi abitativa esplosa con la pandemia

La legge dell'81, la crisi abitativa e l'onda migratoria: viaggio nella crisi di New York

New York si trova a fronteggiare uno stato d’emergenza senza precedenti. Parole del primo cittadino Eric Adams. Il sindaco dem negli ultimi mesi ha lanciato allarmi su allarmi per la bomba migratoria che ha investito la città. Da ultimo ha parlato di un conto salatissimo per la Grande Mela. Secondo un calcolo della sua amministrazione nei prossimi tre anni il comune dovrà sborsare 12 miliardi di dollari per gestire i flussi migratori.

La città da mesi è sotto costante pressione migratoria. I flussi arrivano dal Sud e nell’ultimo anno hanno toccato quota 100 mila arrivi. Di questi ben 57.200 sarebbero ancora in città, inseriti nel sistema di accoglienza. Il problema è che questo sistema sta andando in tilt, sia per pressione esterna che per le sue singolari peculiarità. Il tutto mescolato con la crisi che la città sta affrontando dal 2020.

Le tre ragioni

Le ragioni di questa pressione migratoria sono diverse. Ma ce ne sono almeno tre che sono alla base dell’emergenza senza precedenti. La prima ha a che fare con la fine del title 42. Si tratta di una direttiva di salute pubblica varata dall’amministrazione Trump durante la pandemia. Il provvedimento, terminato nel maggio di quest’anno, permetteva agli Usa di espellere i migranti in massa dal suolo statunitense per ragioni legate al contenimento del Covid-19. La sua fine ha portato una ripresa degli arrivi.

La seconda ragione ha che fare con la sfida lanciata da Texas e Florida e dai rispettivi governatori, Greg Abbott e Ron DeSantis. I due repubblicani nell’ultimo anno hanno favorito lo spostamento di decine di migliaia di migranti verso nord, una sfida lanciata a tutte le amministrazioni democratiche. Come i famosi bus carichi di migranti latinoamericani inviati nelle città del nord, tra cui Chicago, Washington e soprattuto New York.

Ma al di là delle mosse dei governatori repubblicani moltissimi migranti scelgono in autonomia di puntare alla Grande Mela per una sua peculiarità. E qui veniamo alla terza ragione. La città, infatti, ha una direttiva che obbliga l’amministrazione a fornire un rifugio sicuro a chiunque ne faccia richiesta. Una sorta di “accoglienza” obbligatoria varata nel 1981.

migranti new york
Richiedenti asilo in coda fuori dal Roosevelt Hotel di Midtown Manhattan di New York

Le peculiarità di New York

Nello specifico questa direttiva prevede che le persona senza una casa, o un posto dove andare, sia che siano newyorkesi o straniere, hanno diritto ad accedere a un posto letto in uno dei rifugi della città nel giorno stesso in cui ne fanno richiesta. Questo obbligo si è poi scontrato con il particolare momento che vive la città. I flussi e le regole sull’accoglienza si sono infatti mescolate con una economica e un’emergenza abitativa, creando una tempesta perfetta per le vie della metropoli.

Lo stesso sindaco Adams in molti dei suoi interventi ha spiegato che la città non ha fisicamente più spazio per ospitare i nuovi arrivati. L’amministrazione è stata costretta a sequestrare i pochi luoghi rimasti: un campo da calcio lungo l’East River, un parcheggio in un ex ospedale psichiatrico nel Queens e un centro ricreativo nel quartiere di Brooklyn. Tutte iniziative che sanno più di palliativi che di soluzioni strutturali.

L’amministrazione dal canto suo sta lavorando per emendare l’obbligo di fornire assistenza. “Non abbiamo le risorse e le capacità per creare e mantenere i centri di accoglienza, e non abbiamo il personale sufficiente per farlo”, si legge in una lettera dell’avvocatura municipale inviata a un giudice perché sollevi l’amministrazione da questo obbligo.

La città ha anche istituito un limite di 60 giorni per l’accoglienza dei richiedenti asilo, ma questo non ha fermato arrivi e permanenze. Non solo. Come ha scritto Reuters, l’amministrazione cittadina ha pagato una sere di volantinaggi lungo il confine con il Messico per far arrivare ai migranti depliant con la supplica di “scegliere un’altra città”.

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Il depliant che la città di New York ha fatto girare nei centri di confrine e nel quale si chiede ai migranti di "valutare altre città in cui andare"

La crisi abitativa

La crisi abitativa ed economica che attanaglia New York è stata impressa nero su bianco in un report pubblicato in primavera. Secondo il dossier NYC True Cost of Living report realizzato dall’Università di Washington, la metà delle famiglie che vivono a New York non ha abbastanza soldi per mantenere un’immobile, accedere al cibo, avere un’assistenza sanitaria e pagarsi i mezzi di trasporto. Anche le iscrizioni alle scuole pubbliche sono crollate: dopo la pandemia una grossa fetta di famiglie afroamericane ha lasciato la città per il costo della vita troppo alto.

Secondo i calcoli le famiglie dei cinque distretti che compongono la città dovrebbero avere entrate di almeno 100 mila dollari l’anno per permettersi tutto, eppure il reddito familiare medio in città non supera i 70 mila dollari. In città, in realtà, non mancano gli immobili, ma è molto difficile avere accesso per via dei costi eccessivi. Allo stesso tempo i costi rendono i proprietari combattivi, sempre sul piede di guerra contro nuove costruzioni.

A complicare tutto la fine del cosiddetto programma 421-a, una serie di tasse e relativi sgravi che permettevano alle ditte di realizzare immobili con un mix di appartamenti a prezzo di mercato e prezzo calmierato. Il programma in 10 anni, dal 2010 al 2020, ha permesso la realizzazione di oltre 117 mila immobili calmando i prezzi e soprattutto ridando fiato ai residenti in materia di affitti.

Negli ultimi tre anni i prezzi sono però cresciuti e questo ha reso più difficile avere alloggi a buon mercato in città. In questo modo l’arrivo dei migranti ha ingarbugliato tutto. E su questo pesa il fallimento della politica, che non riesce a riformare l’intero sistema.

La sfida politica

Sul fronte migratorio gli Usa non riescono a riformare l’immigrazione in modo organico dal 1990. Tutte le misure varate dopo quella data, come i permessi temporanei per i lavoratori privi di documenti, o eventuali percorsi per la cittadinanza, hanno dimostrato di non funzionare. Queste mancanze a livello federale hanno quindi avuto ricadute a livello statale.

Sia l’amministrazione cittadina che quella dello Stato di New York non riescono a trovare un modo di combinare gli sforzi affinché si arrivi a una soluzione. La governatrice Kathy Hochul ha stanziato un miliardo di dollari del bilancio statale per l’emergenza migranti in città, ma allo stesso tempo ha puntato il dito contro i tentativi di Adams di rimuovere l’obbligo di assistenza, spiegando anche che questo obbligo non vale per il resto dello Stato. Una presa di posizione che nasconde un timore di contro-flussi migratori da New York alle altre città dello Stato.

Una possibile soluzione potrebbe arrivare a un nuovo piano per le case, ma il complesso disegno di legge in lavorazione nelle Camere statali si è arenato per l’impossibilità di mettere d’accordo tutti i legislatori dem. In compenso Hochul e Adams sono concordi nelle richieste da girare a Washington. Richieste che hanno a che fare sia con maggiori fondi per gestire l’emergenza, che con nuovi regolamenti nella gestione dei richiedenti asilo.

Adams, che proviene da una lunga carriera nella polizia di New York, ad esempio, ha le idee chiare su un punto: accelerare i permessi di lavoro per i richiedenti asilo. “I richiedenti asilo con cui ho parlato”, ha raccontato, “vogliono lavorare”.

Un’idea semplice, forse funzionante, ma sicuramente più simile a un palliativo che a una soluzione strutturale per fermare questa crisi che diventa ogni giorno più grave.

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