Cronaca internazionale

Nagorno Karabakh, l'esodo dei profughi armeni: "Abbiamo paura, ma siamo forti"

A una settimana dall’attacco azero che ha sconvolto la regione del Nagorno-Karabakh e cancellato per sempre la libera repubblica dell’Artsakh, i profughi arrivano sempre più numerosi in tutte le città dell’Armenia e nella capitale Erevan

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A una settimana dall’attacco azero che ha sconvolto la regione del Nagorno-Karabakh e cancellato per sempre la repubblica dell’Artsakh, i profughi arrivano sempre più numerosi in tutte le città dell’Armenia e nella capitale Erevan.

I dati forniti dal servizio migrazione e cittadinanza del ministero degli Affari Interni armeno riferiscono, alle 22.00 di giovedì 28 settembre, che 76mila sfollati (più della metà degli abitanti della ragione) hanno attraversato il confine. Tra le persone che si è riusciti a registrare si contano circa 26mila uomini e 28mila donne. Vi sono poi 1.172 persone con disabilità e 133 donne in gravidanza. La maggior parte dei profughi registrati provengono da Stepanakert e le zone limitrofe la capitale dell’ex repubblica.

Girando per la città si possono incontrare mentre scaricano van pieni di valige riempite di corsa oppure cercano semplicemente un hotel per passare la notte.

Vicino a un minibus bianco Mercedes incontriamo Gadara. Non si vuole far riprendere, ma la nostra guida la convince e ci racconta la sua storia: "Arriviamo da Getavan – regione di Martakert – siamo dovuti scappare dagli azeri, per due giorni hanno sparato e poi hanno cominciato con i megafoni a dirci di andarcene".

La famiglia di Gadara ha raggiunto una Stepanakert, la capitale dell'Artsakh, completamente svuotata di viveri e carburante. Una volta trovata la benzina hanno passato il confine e ora cercano riparo nella capitale: "Ci sono rimasti pochissimi soldi, abbiamo perso il lavoro e la nostra casa. Non abbiamo neanche potuto portare il nostro cane".

Il governo ha messo a disposizione strutture e avviato un programma di sostegno che al momento non riesce ad aiutare tutti. A ribadircelo è Ani, 27 anni, ci fa vedere la foto di suo fratello Hovan, militare morto nel conflitto del 2020: "Abbiamo trovato un alloggio, ma al momento dobbiamo pagarlo con i nostri risparmi. Non voglio pensare a cosa sarà di noi, abbiamo deciso di partire quando la nostra casa tremava a causa dei bombardamenti. Ho bruciato quello che potevo, non voglio lasciare nulla agli azeri".

La situazione è critica e dalla capitale fino a Goris è partita la raccolta dei beni di prima necessità, dai farmaci alle coperte. Persino Glovo, la nota azienda che consegna il cibo a domicilio, ha creato una sezione apposita per le donazioni e gli aiuti alla popolazione. La portavoce del primo ministro armeno Nazeli Baghdasaryan ha dichiarato che oggi sono stati stanziati circa 350 milioni di dram (850mila euro) in favore delle autorità regionali al fine di tamponare la questione alimentare.

Un’altra famiglia alloggia nel nostro Hotel vicino al lago Erevanian. Hanno due figli piccoli, Tatul 12 anni e la sorella Zora 8 anni: "A Stepanakert per colpa del blocco imposto da Baku sono mesi che manca qualsiasi bene di prima necessità, i bambini sono spaventati e ci chiedono da giorni se nel luogo in cui andiamo ci saranno i turchi o meno".

Lo sconforto, la rabbia, la sfiducia sono i sentimenti che la fanno da padrone tra queste persone. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan è da molti additato come il principale responsabile di questa tragedia nazionale.

Uno dei più combattivi è Michael un ex camionista che viene dalla città di Vaghuhas: "Pashinyan ha promesso 100.000 dram (240 euro) per tutti quelli che scappano dal Nagorno-Karabakh. Ma noi sappiamo che lui ha preso molti più soldi da Ankara. Abbiamo una dignità, faremo a meno della carità del governo.

Siamo gli abitanti dell’Artsakh, siamo forti e non ci arrendiamo anche se qualcuno vorrebbe che lo facessimo".

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