Cronaca internazionale

"Sei sposata?": così è iniziato il caso Stormy Daniels-Trump

Ripercorriamo tutta la storia del caso Stormy Daniels che ha portato all'incriminazione di Donald Trump, dall'apertura dell'inchiesta all'arresto

"Sei sposata?": così è iniziato il caso Stormy Daniels-Trump
Tabella dei contenuti

Stormy Daniels potrebbe passare alla storia come la donna che ha fatto cadere Donald Trump. L’ex presidente, coinvolto in altre quattro inchieste giudiziarie, si è consegnato oggi alle autorità dello Stato di New York dopo l’incriminazione di venerdì scorso nel caso che ha al centro le accuse dell’ex pornostar, pagata tramite l’avvocato Michael Cohen affinché non spifferasse ai giornali della relazione con il magnate. Ma com’è incominciata la storia tra i due? E perché Trump è stato arrestato soltanto adesso, a distanza di ben 17 anni?

Come e quando si sono conosciuti Donald Trump e Stormy Daniels

Tutto ebbe inizio in un afoso giovedì di luglio del 2006. Il 13, a essere precisi. Quel giorno la 27enne Daniels, al secolo Stephanie Clifford, si trova per lavoro al Lake Tahoe, nota località turistica tra il Nevada e la California, per pubblicizzare l’American Century Celebrity Golf Championship, il consueto torneo di golf a cui ogni anno dal 1990 partecipano i Vip americani. Il compito dell’attrice è quello di accogliere gli ospiti e le celebrità in gara.

Uno di questi era Donald Trump, all’epoca volto celebre della televisione americana e da pochi mesi diventato padre di Barron, il figlio avuto con la terza moglie Melania. “Mi accorsi che mi stava guardando in faccia e non sul seno”, ha rivelato anni dopo Stormy Daniels.

L’invito a cena e il rapporto sessuale tra i due

A fine giornata, una guardia del corpo del tycoon si avvicina a Daniels per dirle che era stata invitata a cena dal suo capo. L’attrice ha qualche sussulto, ma alla fine accetta l’invito, dirigendosi verso la suite dove era attesa. Trump, vestito con un pigiama nero di seta e con le pantofole ai piedi, la fa entrare, le offre da bere e parte con una discussione sulla sua vita e sul suo programma The Apprentice, solleticando l’idea di farla esordire nel piccolo schermo al suo fianco.

Sei sposata?”, chiede Trump, scatenando il gelo. “No, lo ero e adesso non lo sono più. Ma tu sei sposato. Cosa penserebbe tua moglie sapendo che sei qui con me adesso?”, replica Daniels. Quella sera i due avrebbero fatto sesso con la promessa, secondo la donna, che Trump le avrebbe trovato un ruolo in tv. Questo resoconto così dettagliato di come si sono conosciuti Trump e la sua accusatrice viene dal libro Full Disclosure, la biografia della pornostar pubblicata nel 2018.

Le prime interviste e l’approdo alla Casa Bianca

Daniels, pur avendo rivisto The Donald nel 2007, non ha mai partecipato a The Apprentice e nel 2011 prova a raccontare l’affaire con il miliardario newyorkese in un’intervista al magazine In Touch. L’intervista però non vede la luce del sole fino al 2018, perché Daniels sarebbe stata minacciata. Cinque anni dopo, nel 2016, una volta conquistata la nomination presidenziale del Partito Repubblicano, Trump viene attaccato dalla modella Karen McDougal, che sostiene di averci fatto sesso.

La storia viene venduta al National Enquirer, settimanale che le offre 150mila dollari per seppellire la vicenda, grazie anche all’iniziativa di Michael Cohen. L’ex legale di Trump raggiunge nell’ottobre 2016 un accordo identico con Stormy Daniels, destinataria di altrettanti 130mila dollari. L’ex capo della Casa Bianca, che ha sempre negato di aver fatto sesso con le due donne, concorda con Cohen un rimborso a rate mensili ufficialmente per “legal fees”, spese legali.

Michael Cohen
Michael Cohen mentre viene tratto in arresto nel 2018.

Scoppia lo scandalo

Nel febbraio 2018 il Wall Street Journal batte per primo la notizia del pagamento e Cohen in un comunicato scrive di non essere stato rimborsato, ma che “la transazione con la signora Clifford è avvenuta a norma di legge”. Un effetto domino: Daniels, rappresentata da Michael Avenatti, fa causa al presidente e al suo team, dichiarando per la prima volta di aver accettato 130mila dollari per rimanere in silenzio, mentre Rudy Giuliani, uno degli avvocati di Trump, ammette che Trump ha effettivamente versato quei soldi alla sua querelante.

Nell’agosto dello stesso anno Michael Cohen si dichiara colpevole e nel 2019 viene condannato a tre anni di carcere per evasione fiscale, violazione della legge sul finanziamento elettorale e per aver mentito sotto giuramento al Congresso.

L’inizio delle indagini a New York: la prima incriminazione

La procura di New York lancia così la sua offensiva contro il presidente, indagando sul ruolo avuto dalla Trump Organization. Il procuratore Cyrus Vance cerca di ottenere un mandato di comparizione, ma Donald Trump, reduce da un impeachment e da alcune sentenze sfavorevoli della Corte Suprema sulle sue dichiarazioni dei redditi, riesce a sfuggire alla giustizia.

A questo punto però l’inchiesta segue una traiettoria diversa, concludendosi apparentemente nell’incriminazione della Trump Organization e del suo responsabile finanziario Allen Weisselberg, condannato a cinque mesi di carcere per aver frodato il fisco americano con ricompense illecite. La situazione sembra congelarsi.

Alvin Bragg e la svolta nell’inchiesta su Stormy Daniels

Tutto cambia quando alla procura di Manhattan si avvicenda il liberal Alvin Bragg, primo afroamericano a rivestire questa carica. Il nuovo procuratore distrettuale si serve dunque delle sentenze sull’azienda di Trump per riaprire il caso Stormy Daniels, forte anche della collaborazione di una vecchia conoscenza, Michael Cohen, nel frattempo uscito di prigione. La sua testimonianza si rivela fondamentale per l’impianto accusatorio costruito da Bragg, ora incentrato sulla liceità dei pagamenti.

Il tentativo del procuratore è quello di collegare lo spostamento di questi flussi di denaro a reati più gravi (felony) relativi alla legge sul finanziamento elettorale. Avvalendosi di queste novità esplosive, il procuratore chiede l’intervento di un Gran giurì e convoca altri teste, in particolare David Pecker, in passato editore del National Enquirer, sentito dagli inquirenti per approfondire la natura dei pagamenti ordinati da Trump.

Dall’incriminazione al processo: il verdetto del Gran giurì su Trump

La difesa dell’ex presidente rispedisce al mittente le accuse e cerca, senza successo, di screditare il peso delle parole di Cohen, convocando il suo ex collaboratore Robert Costello. Ma il verdetto è già scritto: a una settimana dall’ultima testimonianza, i 23 componenti del Grand Jury di New York deliberano l’incriminazione. Su Donald Trump pendono 34 capi d’accusa.

Il leader repubblicano non si oppone, presentandosi davanti ai giudici per la prima udienza, la registrazione delle impronte digitali e del codice identificativo. Niente foto segnaletiche, nessuna manetta ai polsi né la “perp walk” davanti ai giornalisti: il tycoon entra e se ne va quasi subito.

Ma il processo contro di lui è appena iniziato.

Commenti