
A Madrid, la situazione politica appare sempre più tesa e instabile. Il primo ministro Pedro Sánchez, figura centrale della politica spagnola dell’ultimo decennio, sta affrontando una delle fasi più critiche della sua carriera.
Non è solo la pressione dell’opposizione a minacciarne la posizione, ma un crescente malcontento interno alla sua stessa coalizione. I casi di corruzione che hanno coinvolto alti esponenti del PSOE, suo partito, stanno erodendo rapidamente il capitale politico su cui Sánchez ha costruito la sua leadership dal 2018.
Il recente scandalo che ha travolto Santos Cerdán, potente numero tre del PSOE e uomo di fiducia del premier, ha segnato un punto di non ritorno. Le accuse di tangenti in cambio di appalti pubblici hanno colpito duramente l’immagine di un partito già segnato da inchieste precedenti. Le scuse pubbliche pronunciate da Sánchez lo scorso giovedì non sono bastate a contenere l’emorragia di fiducia. La sua dichiarata estraneità ai fatti, seppur ribadita con forza, appare politicamente debole, data la vicinanza dell'affaire Cerdán e il precedente di José Luis Ábalos, ex ministro dei Trasporti coinvolto in gravi irregolarità durante la Pandemia.
La crisi, però, va oltre la semplice questione giudiziaria. È strutturale e strategica. Il PSOE si trova ad affrontare un nodo cruciale: mantenere al potere un leader logorato dagli scandali rischia di compromettere definitivamente le prospettive della sinistra spagnola alle elezioni del 2027. Da qui, l’emergere di un dibattito interno sempre più esplicito: anticipare il voto per limitare i danni, oppure insistere su un percorso di legislatura zoppicante che, a molti, appare già segnato.
A livello interno, Sánchez ha cercato di riconquistare il controllo del partito rimuovendone la leadership e nominando una squadra di transizione in attesa del congresso di luglio. Ma l’operazione di contenimento è difficile. Le inchieste note come “caso Koldo” – dal nome di Koldo García Izaguirre, ex consigliere di Ábalos arrestato insieme ad altre diciotto persone – hanno creato un humus tossico che avvolge l’intera classe dirigente socialista. Lo spettro delle clientele e degli abusi di potere – dalla gestione opaca dei fondi Covid al favoritismo personale – ha danneggiato in profondità la credibilità del partito.
Sul piano internazionale, le ricadute sono potenzialmente destabilizzanti. Il cosiddetto “Delcygate”, l’incontro segreto tra l’allora ministro Ábalos e la vicepresidente venezuelana Delcy Rodríguez – in violazione delle sanzioni europee – ha messo in discussione l’affidabilità e la credibilità diplomatica del governo. Sánchez, inizialmente ignaro dell’episodio, ha dovuto fare marcia indietro sotto la pressione di prove documentali incontrovertibili fornite dalla Guardia Civil.
Malgrado tutto, il premier è riuscito a restare alla Moncloa anche dopo le elezioni del 2023, vinte dal Partito Popolare ma senza una maggioranza sufficiente per governare. Il suo esecutivo di minoranza sopravvive grazie al fragile appoggio di partiti indipendentisti, da cui dipende ogni votazione cruciale in Parlamento. In queste ore, Sánchez ha intensificato i contatti con forze come Bildu, PNV, ERC e Coalición Canaria per garantirsi un sostegno in caso di una possibile mozione di sfiducia. Ma nessuno di questi attori ha finora offerto garanzie. La stabilità del governo è appesa a un filo.
Allo stesso tempo, le tensioni con l’alleato di governo Sumar si sono acuite. La vicepresidente Yolanda Díaz e due ministri hanno disertato la seduta plenaria del Congresso in segno di protesta contro “una situazione vergognosa”. Durante la stessa sessione, Sánchez è stato duramente contestato dai banchi del Partito Popolare e di Vox, con richieste esplicite di dimissioni. Il leader del PP, Alberto Núñez Feijóo, ha parlato di un premier ormai “fuori tempo massimo”, sottolineando che “sopravvivere non è più un’opzione”.
Sumar, da parte sua, ha dettato condizioni chiare per proseguire nell’alleanza: la creazione di un’agenzia indipendente anticorruzione – una struttura assente nel panorama istituzionale spagnolo –, un forte aumento degli stanziamenti per il welfare e un ritiro del piano di aumento della spesa militare. Quest’ultimo punto è particolarmente delicato, data la vicinanza del vertice NATO. Le richieste di Sumar riflettono una strategia volta a rafforzare il profilo etico e sociale della coalizione, ma rischiano di spingere Sánchez verso un angolo sempre più stretto.
Il momento chiave sarà il vertice di coalizione tra PSOE e Sumar, dove si deciderà la linea comune di governo. Sumar, che sottolinea con orgoglio di non essere sfiorato da alcun caso di corruzione, si propone come argine morale e politico al declino della sinistra. Il ministro dei Diritti Sociali Pablo Bustinduy ha ribadito in aula che il suo partito non intende provocare la caduta del governo, temendo che un’uscita di scena della sinistra spalanchi le porte alla destra.
Ma fonti interne confermano che, dietro le quinte, cresce il numero di dirigenti – sia in Sumar che nel PSOE – che ritengono più utile tornare anticipatamente alle urne per limitare il collasso.La linea che si sta tracciando è netta: per evitare un crollo storico alle prossime elezioni, la sinistra dovrà rinnovare il proprio vertice. E per molti, questo significa che Pedro Sánchez dovrà farsi da parte.