Cronaca locale

"È la madre, non ha commesso reato". Niente processo per avere mentito sull'incidente del figlio

Nessuna conseguenza legale per la madre che coprì il figlio 18enne, responsabile dell'incidente in cui morì, a Roma, un 29enne. Per la legge non sussiste reato

"È la madre, non ha commesso reato". Niente processo per avere mentito sull'incidente del figlio

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Non andrà a processo la madre del ragazzo di 18 anni che, il 9 febbraio scorso, ha investito con un Suv un ragazzo di 29 anni, Emanuele Catenazzi, che si trovava su un marciapiede di viale dell’Archeologia nel quartiere di Tor Bella Monaca, a Roma. Secondo la legge italiana, le dichiarazioni mendaci della madre non costituiscono il reato di favoreggiamento poiché questo non è contestabile ai parenti di primo grado di chi commette reati.

La dinamica dell’incidente

Intorno alle 14:30 di giovedì 9 febbraio, il 18enne si era messo alla guida di una Bmw di grossa cilindrata che era stata noleggiata due giorni prima dalla madre.

Il ragazzo non era nelle condizioni di poter guidare la macchina perché non aveva ancora conseguito la patente e non era in possesso del foglio rosa. Ciononostante, l’adolescente aveva voluto fare qualche giro per le strade della periferia est di Roma, immettendosi su viale dell’Archeologia che da lì a breve sarebbe diventato teatro dell’incidente.

Secondo alcune testimonianze, il Suv viaggiava ad una velocità sostenuta oltre il limite urbano di 50 km/h finché l’autista, prendendo una curva e sorpassando l’autobus che gli stava davanti, ha perso il controllo dell’auto che ha poi invaso la corsia opposta e ha colpito 4 macchine parcheggiate.

Durante la perdita di controllo del veicolo da parte del ragazzo, è stato colpito anche Catenazzi che si trovava sul bordo del marciapiede in compagnia della sua ragazza. Una volta colpito, Emanuele non è morto subito, bensì al policlinico di Tor Vergata a causa delle ferite troppo profonde.

il 18enne, una volta compresa la situazione, ha contattato subito la madre avvisandola di quanto era successo e chiedendole cosa potesse fare. La donna si è subito precipitata sul luogo dell’incidente ed una volta arrivati gli uomini della Polizia Locale ha dichiarato di essersi messa lei al volante della Bmw e che l’incidente aveva avuto luogo perché: “Forse ho perso il controllo della mia macchina a causa di un’altra auto uscita all’improvviso da una traversa laterale”.

Dopo l’autodenuncia, la donna è stata iscritta nel registro degli indagati e sottoposta al test tossicologico a cui però è risultata negativa. Le poche persone che si trovavano sul posto hanno raccontato agli inquirenti che in realtà alla guida del mezzo c’era il figlio e i filmati delle videocamere presenti sul viale hanno certificato la veridicità dei testimoni.

La Procura di Roma, a questo punto, ha chiesto il processo per il ragazzo in quanto è accusato di omicidio stradale. La madre, oltre ad essersi trovata il suo nome cancellato dal registro degli indagati per non aver commesso il fatto, non sarà oggetto di nessuna investigazione nonostante il tentativo di depistaggio delle indagini. Secondo l’art. 384 del codice penale in relazione ai delitti contro l’amministrazione della giustizia non è perseguibile chi offre la propria disponibilità ad un parente stretto: “[...] Non e' punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessita' di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella liberta' o nell'onore.

Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilita' e' esclusa se il fatto e' commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione”.

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