Cronaca locale

T’invito a pranzo in Carcere per dare valore alle persone

Un Pranzo d’Amore festeggia il nono anno in cui la solidarietà in Carcere diventa un messaggio d’amore per dare un segnale di presenza ed accoglienza a chi sta scontando la propria pena

T’invito a pranzo in Carcere per dare valore alle persone

È stata una giornata dell’Altra Cucina... "per un Pranzo d’Amore", l’Iniziativa realizzata da Prison Fellowship Italia (www.prisonfellowshipitalia.it/), Rinnovamento nello Spirito Santo (www.rinnovamento.org) e Fondazione Alleanza del RnS (https://www.fondazionealleanza.org), con il patrocinio del Ministero della Giustizia, svoltasi martedì 21 dicembre 2022 in contemporanea di 21 Carceri italiane, a favore dei detenuti, delle detenute e dei loro familiari.

A rendere possibile questo straordinario evento si solidarietà sono stati i circa 600 volontari per servire oltre 6000 pasti, serviti da Nord a Sud Italia, un evento che vede anche numerosissimi personaggi del mondo dello spettacolo, della musica, dell’arte, del giornalismo e della cultura coinvolti nel servizio ai tavoli e autori di divertenti performance teatrali e canzoni cantate insieme a tutte le detenute.

Un pranzo d’amore è molto più di un pasto, è un messaggio di speranza che si vuole dare a chi ha sbagliato e sta scontando la sua pena. Un messaggio che arriva anche dagli Agenti Penitenziari che hanno rappresentato il Cuore delle istituzioni, partecipando generosamente a questa manifestazione con turni supplementari rendendo possibile questa giornata conviviale, trascorsa in grande armonia, grazie al coordinamento della Direttrice della casa circondariale di Rebibbia Alessia Rampazzi, che ha evidenziato come "questa occasione racconta di una società che vive aperta al prossimo e rappresenta per le nostre detenute un autentico 'ponte' con la società esterna, che almeno in parte attutisce le difficoltà di chi deve affrontare la pena, specialmente acuite in queste settimane di festività".

Salvatore Martinez, Presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo che da anni si dedica con passione alla realizzazione di questo Pranzo d’Amore ribadisce il significato del Pranzo affermando: “Quando siamo seduti alla stessa mensa si annullano le distanze, si abbattono le barriere, ci si riconosce partecipi dello stesso destino umano, che è sempre un destino di pace. Che tutto questo avvenga a Natale è ancora più significativo”.

Marcella Reni, Presidente di Prison Fellowship Italia, durante la conferenza di presentazione “dell’Altra Cucina... per un Pranzo d’Amore” ha ricordato il percorso che ha portato alla nona edizione ed evidenzia come: “Cresce la sensibilità nei confronti di questa Iniziativa, è semplicemente emozionante vedere come, all’interno del carcere, in questa giornata speciale, le famiglie dei detenuti possano ritrovarsi in abbraccio che non ha bisogno di parole”.

La Partecipazione di Lorella Cuccarini

Il coinvolgimento di tanti volontari rappresenta il segnale di una società sana che si occupa anche dei più deboli. Quest’anno presso la Casa Circondariale femminile di Rebibbia, è intervenuta anche Lorella Cuccarini, in rappresentanza di tutti gli artisti coinvolti a livello nazionale, ha spiegato come "la partecipazione alle passate edizioni mi ha permesso di capire come poter dare dignità ai volti, alle storie di queste persone, che altrimenti resterebbero solo meri numeri. Si accende un “faro” su ciò che anche noi, come personaggi pubblici, possiamo muovere per fare massa critica a e aumentare la consapevolezza sull’umanità presente nelle Carceri, facendo sì che esse diventino luoghi di vera riconciliazione".

Il carcere, dunque, non deve essere considerato soltanto un luogo di reclusione per isolare persone, ma deve anche essere un luogo di rieducazione dei detenuti al fine del loro reinserimento in società.

La solidarietà si è manifestata anche attraverso il cibo con le proposte dello chef Filippo La Mantia, che ha preparato il pranzo alle 350 detenute a Roma, anche quest’anno lo Chef ha voluto essere l’autore di uno sei "Pranzi d’Amore", insieme a lui molti sponsor che anno permesso la realizzazione dell’evento.

Filippo la Mantia è uno Chef che ha trovato il suo grande successo grazie anche alla sua personale esperienza, da ex detenuto, condannato ingiustamente nel 1986 per nove mesi e scarcerato proprio il 24 dicembre dal giudice Giovanni Falcone.

Lo Chef ha ricordato “cosa significa vivere la solitudine e la tristezza dietro le sbarre: è lì che ho imparato a cucinare gli ingredienti che arrivano nei pacchi spediti dai familiari, con i profumi di casa che entravano in una cella dove vivevamo in 14 uomini. Non mi sono fatto però coinvolgere e da un errore è nata sorprendentemente una bellissima cosa, sfruttando l’opportunità, una volta uscito, sebbene fossi ancora sconosciuto, di occuparmi dei detenuti. Poi, quando la passione della cucina si è impossessata di me, entrando in contatto con le Istituzioni, chiesi di essere più presente da cuoco nelle Carceri. La detenzione non fa bene a nessuno, serve tuttavia a capire meglio chi siamo: dobbiamo essere grati e bisogna aiutare tutti, questo è il mio "credo" e si fa ancora più forte il sentimento se si tratta di detenute donne”.

Le Donne detenute, sono state le vere protagoniste di questa giornata di solidarietà, vederle entrare per prendere posto è sempre una forte emozione e potersi sedere a tavola con loro ed ascoltare le loro storie è un momento che segna il cuore.

Mentre attraverso i corridoi lunghissimi dove i volontari hanno apparecchiato con cura tavoli imbanditi con fiori colorati, incontro le detenute che potranno in questa giornata pranzare tutte insieme senza sbarre ne divisioni.

Mentre cammino portando la pasta alla Norma preparata dallo Chef, incontro Alessia che mi colpisce per i suoi capelli rasta multi colore e per i suoi occhi azzurri meravigliosi, ci tiene a spiegarmi che è stata incastrata dalla compagna del suo ex fidanzato ,così mi racconta ,ma in realtà a tradirla è stata la droga che le ha fatto perdere il controllo della sua vita. Il 24 dicembre di un anno fa sono entrati in casa per arrestarla con accusa di evasione, si trovava già ai domiciliari, Alessia oltre a perdere la libertà, perderà il figlio che portava in grembo.

Proseguendo con il carrello dei Dolci colorati dalle composizioni di frutta e cioccolata, incontro gli occhi di Neva che m’invita a sedermi di fianco a lei per chiacchierare, Neva è una donna dolcissima, dal viso magro con occhi stanchi, mi racconta che è in prigione con l’accusa di aver partecipato a movimenti sovversivi e dovrà scontare più di 5 anni ed oggi non vuole più prendere parte a nessun movimento ma vuole solo pensare a se stessa e al suo progetto d’insegnamento ai bambini in Palestina. Neva mi racconta che è stata vittima per anni della violenza del suo compagno e dopo essere stata sottoposta a svariati interventi maxillo facciale, oggi le piacerebbe una volta uscita riprendere il suo lavoro e dedicare qualche cura di bellezza al suo stanco viso. Neva ha 3 figli maschi che l’aspettano, la sua bambina Valentina è morta a soli tre anni ormai molti anni fa, ma oggi spera di riabbracciare presto la Nipotina di nome Valentina anche lei.


Proseguendo nella mia passeggiata con il carrello per il ritiro dei piatti, m’imbatto nella grintosa Emanuela che ci tiene molto a presentarsi con il suo nuovo nome Emanuele, mi colpisce per quanto è bella.
Viso ed occhi meravigliosi un tatuaggio in pieno viso che segna la sua bellezza come simbolo di rivolta. Ma di sua ammissione una stupidaggine che forse non rifarebbe.

Tra i tavoli che scorro c’è il tavolo delle donne Africane, più timide che guardano con occhi curiosi quest’evento inaspettato, forse lontano dal loro mondo e quasi incomprensibile. Le ragazze Africane, si sono specializzate in carcere con le acconciature rasta che per 50 euro fanno alle altre detenute, non avendo a disposizione Extentions con capelli veri, si sono ingegnate con dei fili colorati di lana. Le detenute portano alle “acconciatrici africane” un golf e loro ne creano delle pettinature rasta multi colori, trasformando le altre compagne di detenzione in delle pop stars.

Le detenute sono prima donne, ragazze, nonne, sono prima di tutto persone, che hanno incontrato delle difficoltà e sono cadute commettendo reati, ma restano delle donne con tutte le attenzioni che ogni donna presta alla cura di se stessa, anche qui dunque non c’è eccezione e le signore indossavano abiti colorati e acconciature accurate. Una donna Rom probabilmente nonna, indossava una coloratissima gonna a fiori e ballava roteando l’abito come si fa ad una festa. Ognuna di quelle donne siamo noi, per questo bisogna cambiare il punto di osservazione, c’è ancora troppa sfiducia nei confronti dell’altro e troppi sentimenti di diffidenza che fanno nascere una barriera insormontabile tra chi è dentro e chi è fuori.

Questo sentimento chiude le porte a tutti coloro che cercano di rialzarsi,se arriva da noi una persona che è stata in carcere, saremmo con grande probabilità portati a escluderla dalla candidatura al lavoro ma questo non fa bene alla nostra società. Le persone che sono state in carcere, sono state in qualche modo riabilitate per essere nuovamente cittadini e cittadine libere, proprio a spese di ognuno di noi ,come deve essere in una comunità, ma poi quando bussano alla porta in richiesta di un lavoro, il più delle volte la porta è sbarrata.

Ricordando una frase di Rita Levi di Montalcini: “Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale”. Sarebbe una grande opportunità per queste donne non trovarsi la strada sbarrata dai pregiudizi ma un braccio teso per ricominciare a costruirsi una nuova vita.

L’invito di Papa Francesco

Una giornata come quella del pranzo d’amore, con tanti spunti per riflettere, rappresenta il punto di partenza di una ripresa di coscienza individuale sia per chi è detenuta sia per chi ha deciso di essere volontario e di esserci a sostegno di questo percorso di riabilitazione.

Prison Fellowship International sviluppa programmi per le carceri di tutto il mondo che stanno risanando le vite dei detenuti, aiutando le loro famiglie e re-integrando con successo gli ex carcerati nella comunità, e in modo definitivo.

L’approccio è semplice, c’è un modo migliore – un metodo verificato e consiste nel dare valore alle persone, essere costruttivi per proteggere e migliorare la nostra Società, il bene più grande che abbiamo e che va curato come un figlio. Se un figlio sbaglia un padre o una madre lo prendono per mano per farlo rialzare e proseguire a camminare verso il suo futuro.

Lo stesso Papa Francesco, ha inviato una lettera a tutti i Capi di Stato - come riferito da una nota del Vaticano - invitandoli “a compiere un gesto di clemenza verso quei nostri fratelli e sorelle privati della libertà che essi ritengano idonei a beneficiare di tale misura, perché questo tempo segnato da tensioni, ingiustizie e conflitti, possa aprirsi alla grazia che viene dal Signore”.

Sarebbe una bella società quella pronta ad accettare chi ha sbagliato ed ha pagato, disponibile a porgere un braccio per camminare tutti insieme verso il futuro.

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