È un fenomeno quasi fisiologico: a meno di non essere veri e propri habitué degli istituti di pena, dopo aver trascorso alcuni giorni in carcere cambiano toni e atteggiamenti, si tende ad abbassare la cresta insomma. Così ora sembrerebbero infatti tutti orientati a cavalcare la mancata percezione della gravità di quanto hanno fatto i cinque giovani - due 18enni e tre 17enni - fermati dalla Procura di Milano e dalla polizia martedì a Monza, nel quartiere residenziale «Triante», per i fatti avvenuti sotto la Madonnina la notte del 12 ottobre tra via Rosales e viale Montegrappa, a due passi dalla zona della movida di corso Como, ovvero la rapina e il tentato omicidio di un 22enne: uno studente della Bocconi che, per 50 euro, è stato massacrato di botte e accoltellato subendo gravissime lesioni permanenti.
Stamani i cinque accusati di tentato omicidio pluriaggravato e rapina pluriaggravata in concorso saranno tutti sottoposti all'interrogatorio di garanzia: i maggiorenni (tra cui c'è anche il giovane che ha sferrato materialmente le due coltellate alla schiena del bocconiano causandogli gravi lesioni polmonari e spinali) all'interno del carcere di San Vittore saranno sentiti dal gip Chiara Valori nelle indagini condotte dal pm Andrea Zanoncelli e dalla squadra investigativa del commissariato milanese «Garibaldi-Venezia»; i tre 17enni saranno invece interrogati nell'istituto penale per Minorenni «Cesare Beccaria» dove martedì sono stati accolti dagli altri detenuti in maniera trionfale, come fossero degli eroi. Eppure proprio questi tre ragazzi più giovani sono accusati di aver sferrato «ripetutamente» calci e pugni, anche quando la vittima era «inerme e stesa al suolo». Inoltre, se è vero che tutti e cinque gli arrestati rispondono di tentato omicidio, per quattro di loro (ovvero tutti tranne il 18enne che nella dinamica di quanto accaduto ha avuto il ruolo di «palo», quindi fisicamente distante dagli altri nel momento preciso dell'assalto) si profila anche l'aggravante del concorso morale, perché con il loro atteggiamento avrebbero «rafforzato il proposito dell'accoltellatore», come evidenzia la gip negli atti.
La giudice ha sottolineato inoltre che i giovani - sia comunicando tra loro nelle chat su Tik Tok nei giorni successivi l'aggressione, sia quando sono stati intercettati nella sala d'aspetto del commissariato subito dopo i fermi di martedì - hanno continuato a ridere e a ironizzare pesantemente tra loro sul fatto che il 22enne sarebbe rimasto paralizzato e che speravano morisse, con una «ilarità» che secondo il magistrato dimostrerebbe tutta la loro «disumana indifferenza», il cinismo e lo scarso valore dato a una vita umana che non sia la propria. Valori ha aggiunto: «Erano anche pronti a cimentarsi nuovamente per sfogare quella loro violenza gratuita e portarsi a casa la prossima volta più di una banconota da 50 euro».
Ieri il ragazzo di origine egiziana accusato di aver fatto da «palo», unico straniero della banda dei cinque aggressori e detenuto come l'amico a San Vittore, ha incontrato in carcere la sua legale, Elena Patrucchi. «Ha ribadito più volte - ha spiegato l'avvocata - che lui era lontano ed era convinto che fosse solo una zuffa.
Quando ha saputo, tempo dopo, dell'uso del coltello, è rimasto sconvolto e sconvolto è anche ora». Quindi Petrucchi ha aggiunto, sempre parlando del suo assistito: «Era assolutamente convinto che fosse solo una zuffa di poco conto. Ha detto che secondo lui nessuno aveva compreso la gravità del fatto».