"Risolvere casi grazie all'ipnosi? Vi spiego come funziona e perché in Italia è vietato"

Il criminologo Mirco Turco spiega a ilGiornale la tecnica usata in criminologia: "Si può aumentare la quantità e la qualità del ricordo"

"Risolvere casi grazie all'ipnosi? Vi spiego come funziona e perché in Italia è vietato"

Quando si parla di ipnosi, è facile cadere negli stereotipi e immaginare bizzarri psichiatri con ruote optical in bianco e nero, orologi fatti oscillare di fronte al viso per convincere qualcuno a sentirsi una gallina, oppure ancora spettacoli mistici in cui qualcuno viene convinto a compiere rapine su commissione. Ma l’ipnosi è una tecnica molto interessante e foriera di prospettive. A dirlo è lo psicologo e criminologo Mirco Turco, che da poco ha realizzato la pubblicazione “Neurointelligence”.

Dottor Turco, il titolo del suo libro è interessante, perché fa riferimento a mente e guerra. Cosa le lega?

“Non esiste, allo stato attuale, la disciplina della neurointelligence. Nel mio libro creo un connubio tra l’intelligence e lo studio del cervello, della coscienza, ma anche con mezzi tecnologici, che possono essere appunto usati per l’intelligence. Il nuovo campo di battaglia - anche se in realtà lo è sempre stato - è la mente umana. Le tecnologie che sono in fase sperimentale non fanno altro che manipolare e influenzare, alterare la coscienza degli individui e per questo si parla di neuroarmi. La vicenda della sindrome dell’Avana ha dimostrato come in alcune ambasciate hanno usato, per esempio, armi particolari che vanno ad alterare il campo elettromagnetico della persona, producendo, in questo caso, degli effetti negativi come mal di testa e spossatezza”.

Lei si occupa soprattutto di ipnosi: quali sono le sue potenzialità in criminologia e criminalistica?

“L'ipnosi è in primis uno stato naturale, contrariamente ai luoghi comuni sull'argomento. In ambito criminologico, criminalistico e in generale investigativo, l'ipnosi presenta delle grandi potenzialità, a partire dal modo in cui si può aumentare qualità e quantità del ricordo. Anche se occorre precisare che bisogna essere cauti nell'applicarla, perché la memoria è molto labile e quindi possiamo influenzarla tantissimo anche solo con una parola, con un'espressione o con una frase: occorre tanta delicatezza nell'utilizzo dell'ipnosi quando si parla di recupero della memoria, perché altrimenti si apre il capitolo decisamente complicato delle false memorie”.

Esistono quindi davvero le false memorie? Se n’è parlato in casi diversissimi, dal delitto di Aldo Moro al rapimento di Denise Pipitone.

“La memoria umana non è riproduttiva, cioè non riproduce fedelmente quello che abbiamo vissuto, ma è ricostruttiva e quindi dove c'è un vuoto la mente aggiungi un pezzo. Questo pezzo può rappresentare una verità oppure una menzogna, ovvero qualcosa che si è letto o sentito. E se c'è una falsa memoria bisogna vedere quello che comporta ai fini investigativi. Tornando all'ipnosi, a questo proposito, bisognerebbe ricorrere a protocolli molto rigidi che in realtà non esistono, anche perché sarebbero una contraddizione, dato che esiste il concetto di suscettibilità ipnotica”.

Si tratta di tecniche possibili in Italia?

“In Italia l'ipnosi non può essere usata in ambito forense, così come non si possono usare mezzi che interferiscono con la libertà di autodeterminazione della persona, ovvero la libertà di non ricordare. In altre parole, il legislatore vieta l'utilizzo di strumenti che alterino la memoria. È un po' un limite o anche, come detto, una contraddizione, perché anche un avvocato può porre delle domande e suggestionare così il ricordo”.

Oppure?

“Oppure ci sono altre tecniche che influenzano la memoria, come l'intervista cognitiva: a volte la vediamo nei film americani, è una tecnica in cui si cerca di far concentrare un testimone su odori o suoni, provando a fargli cambiare prospettiva con canali diversi. E tra l'altro anche questa è una forma di ipnosi. Mettendo però in correlazione l’ipnosi con le indagini tradizionali, potrebbe diventare uno strumento investigativo ottimale, tanto che anni fa l'Fbi aveva proprio una sezione di ipnosi forense. Gli americani lo fanno perché l’ipnosi è una forma di comunicazione: io utilizzo frasi strutturate in un certo modo, con determinati termini e un determinato ritmo e questo facilita l’attivazione di alcune aree cerebrali. L’ipnosi non è un fatto psicologico, ma psicosomatico infatti, tanto che in alcuni Paesi serve a indagare la capacità di intendere e di volere di un imputato”.

Quali sono le altre prospettive potenziali o i limiti?

“L'ipnosi potrebbe essere molto utile, restando nel recupero del ricordo, in ambito vittimologico. In Italia oggi l'ipnosi viene usata come strumento clinico terapeutico per le persone che sopravvivono a una violenza o un trauma. Si tratta però di qualcosa di sperimentale. È quasi sempre efficace ma non tutte le persone possono essere sottoposte a ipnosi, per esempio coloro che sono affette da psicosi gravi, fanno uso di sostanze stupefacenti o presentano gravi deficit cognitivi, ovvero chi ha già una coscienza alterata”.

Si è occupato anche di narrativa.

Ci sono ottime prospettive per l’uso dello storytelling nella sanità. E in criminologia?

“Secondo me sì, in vittimologia. Sicuramente un certo tipo di narrazione, utile a suscitare empatia e condivisione può essere utile e terapeutico. Sarebbe un filone da cavalcare”.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica